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Le Falci dei Custodi

Ultimo Aggiornamento: 13/03/2013 13:09
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07/09/2008 19:13
 
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OT: ha qui inizio il racconto di cui avevo parlato con Eruner ed altri: questo è il capitolo introduttivo.
Buona lettura a tutti!

Ah, dimenticavo: per i nomi in "giapponese", uso questo sito:
Online Japanese Dictionary
In pratica, scrivo una parola inglese e lui mi restituisce la traduzione giapponese, di cui prendo la pronuncia (tipo: scrivo scyte, cioè falce, lui mi dà due strani caratteri e mi dice che si legge "kama", e il gioco è fatto. A volte dà anche più di un'alternativa, per cui bisogna leggersi i significati. E' molto istruttivo!). Tanto per non inventarmi parole a caso!
[SM=x92706]

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Le Falci dei Custodi


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«Perdonatemi, Nasari-Dono. Un viandante chiede di voi».
Il giovane monaco alzò per un istante gli occhi da terra, scrutando la nuca lucida dello Shudoushi dove campeggiava, da orecchio a orecchio, un tatuaggio sacro. Si trattava di un complesso ideogramma dell'antica lingua del Katai, il cui significato era noto solamente allo Shudoushi in persona.
«Fatelo entrare» disse quest'ultimo.
«Poi, tornate al vostro incarico».
Con un rapido inchino, il giovane monaco si congedò, lasciando lo Shudoushi solo nella camera.
Shudoushi significa letteralmente «colui che studia le Arti Elevate», ed è il termine con cui in Katai sono indicati i responsabili dei più importanti santuari del paese.
Nella cultura Katai, sono considerate «Arti Elevate» la filosofia, la matematica, la musica e le arti marziali. Tutti gli aspiranti monaci (detti «Kenkiunin») studiano le Arti dall'ingresso nei monasteri – che avviene non più tardi del quarto anno di età – fino al raggiungimento del ventunesimo anno di età. A quel punto, il Kenkiunin viene sottoposto al Kenmei na Saiban, una dura prova finale studiata per testare la padronanza delle Arti. Se la prova è superata, l'adepto diventa finalmente un monaco; in caso contrario, è scacciato dal monastero e non può più farvi ritorno.
Una volta ottenuto il loro status, molti monaci si stabiliscono in un monastero, dedicandosi ad approfondire ulteriormente il loro sapere, oppure scelgono di viaggiare di villaggio in villaggio per mettere il proprio talento al servizio della gente.
I monaci sono guidati dal Tatsujin, o «il Maestro». Ogni Tatsujin sceglie il suo successore al momento della propria elezione e resta in carica a vita. I suoi unici incarichi sono amministrare il monastero di Katai (la principale città del continente omonimo) e scegliere gli Shudoushi, che sono i custodi dei santuari, ovvero i templi che custodiscono le più importanti reliquie del paese.
Nasari-Dono rivestiva quel ruolo da venticinque anni; se non li avesse rasati a zero, i suoi capelli avrebbero testimoniato la sua età, superiore ai settant'anni.
Eppure, il tempo non aveva riscosso alcun tributo da Nasari-Dono. Alto un metro e ottanta – un vero gigante, per la media del suo popolo – Nasari sfoggiava il fisico di un uomo decine di anni più giovane, grazie all'addestramento. I suoi occhi corvini non tradivano alcun segno di stanchezza, e le piccole rughe che attraversavano il suo volto lo facevano apparire saggio, più che vecchio.
Lo Shudoushi sedeva a gambe incrociate su di un semplice tappeto, le mani poggiate sull'elsa delle due corte spade rituali che portava alla cintura, simbolo del suo status.
I suoi occhi chiusi non si aprirono neppure quando l'ospite sconosciuto entrò nella stanza e venne a mettersi proprio alle sue spalle.
«Ditemi», disse semplicemente.
«Vi ringrazio per avermi ricevuto, Nasari-Dono» esordì lo straniero, «Il mio nome è Sagachi Kojima; sono un contadino, vengo dal villaggio di Koya».
«Avete affrontato un lungo viaggio» mormorò lo Shudoushi.
«Proprio così, ''danna''. Sono in viaggio per ordine di Ogure-San, il nostro capo villaggio. Vedete, il villaggio di Koya è da sempre specializzato nella produzione di riso. Tutti i villaggi della zona mangiano il riso di Koya, e anche i mercanti di Niwa visitano spesso il nostro mercato. In pratica, Nasari-Dono, si potrebbe dire che ogni abitante di Koya coltiva riso».
«Proseguite», disse lo Shudoushi.
«Certo, ''danna''. Vedete, il nostro villaggio sorge sulla sponda del lago Tsukimi, dal quale prendiamo l'acqua per le nostre risaie.
Tuttavia, qualche mese fa il lago si è completamente prosciugato! Senza l'acqua del lago, le nostre risaie saranno ben presto distrutte, e il nostro villaggio andrà in rovina.
Così, Nasari-Dono, Ogure-San vi implora di concederci la Bannin-Kama custodita in questo tempio, la Spada della Rinascita. La vostra reliquia racchiude il potere della primavera, e Ogure-San dice...»
«Basta così, Sagachi-San. Conosco perfettamente il potere della Bannin-Kama che mi è stata affidata. Mi ritenete forse uno sprovveduto?»
«Certo che no, ''danna''. Io...»
«Se fosse così, certo vi sareste sforzato molto di più, per ingannarmi».
Lo Shudoushi si alzò in piedi.
«Ma cosa dite! Io...»
«Silenzio! Siete venuto a me presentandovi come un contadino, eppure non avete portato nessuna offerta al mio tempio, come è dovere di ciascun membro della vostra classe. Inoltre, dite di venire da Koya, nella regione di Niwa: eppure, vi rivolgete a me chiamandomi ''danna'', cioè Signore, un termine generico che viene usato soltanto dalla gente di Katai e dei villaggi circostanti. Infine, soltanto noi Shudoushi conosciamo il nome delle Bannin-Kama. Quindi, poiché sapete che qui è custodita la Spada della Rinascita, ciò significa che probabilmente avete parlato con uno Shudoushi...»
«Questo non...»
«Probabilmente, con lo Shudoushi di Niwa, Arachi-Dono, che è stato ucciso proprio due settimane fa assieme a tutti i monaci del Tempio dell'Inverno»
Nasari si avvicinò alla parete, dove era agganciata una lunga arma ad asta, nota come ''naginata''. Impugnata l'arma, lo Shudoushi si voltò.
«La notizia della distruzione del Tempio dell'Inverno ci è giunta soltanto un'ora fa. Siete stato veloce, straniero, ma non abbastanza».
Il presunto contadino lasciò cadere a terra il mantello che lo aveva avvolto fino a quel momento, rivelando abiti degni di un samurai e una spada corta appesa al fianco.
«E voi siete astuto, Nasari, ma non abbastanza. Visto che avete previsto la mia venuta, dovreste anche sapere che voglio impossessarmi della vostra Bannin-Kama. Solo uno sciocco ruberebbe soltanto una delle quattro Falci dei Custodi: presa singolarmente, ognuna delle quattro armi ha un debole potere. Ma quando vengono unite...»
Lo straniero sorrise sinistramente, prima di proseguire.
«Comunque sia, Nasari, siete uno sciocco. Ho ucciso personalmente Arachi, che è senz'altro molto più esperto di voi nel combattimento. Sareste dovuto fuggire invece di restare ad affrontarmi».
Questa volta, fu Nasari-Dono a sorridere.
«Come avete detto voi, non siete qui per me, bensì per la Bannin-Kama. Perché fuggire, se non sono io il vostro obiettivo?»
Il ghigno scomparve dalle labbra dello sconosciuto.
«Cosa intendete dire?»
Ma lo Shudoushi non rispose. Lanciando il suo grido di guerra, si scagliò sul nemico.

«L'avete trovata?»
Più che parlare, aveva ringhiato.
Il ninja scosse la testa.
«Abbiamo perquisito ogni cadavere e frugato in ogni stanza. Non c'è traccia della Bannin-Kama.
«Maledizione!»
Lo straniero si voltò, strappò da terra una lancia e attraversò il giardino, pieno di cadaveri.
Sebbene i monaci fossero tutti addestrati a combattere, i ninja avevano attaccato in superiorità numerica di quattro a uno, e di sorpresa. Più che uno scontro, era stata una carneficina.
Dopo aver scansato con un calcio il cadavere di un monaco, lo straniero si avvicinò a Nasari.
Lo Shudoushi giaceva a terra in una pozza di sangue. Il ventre era squarciato da una lunga ferita, dalla quale fuoriusciva parte delle sue interiora. Lo straniero non sembrava minimamente sconvolto da quella vista raccapricciante, né mosso a compassione dal rantolo agonizzante del vecchio monaco.
«Dove l'avete nascosta?»
Il volto del monaco si contorse in una sorta di ghigno, mentre il sangue sgorgava a fiotti dalle sue labbra.
Con un secco movimento, lo straniero sollevò la lancia e la piantò sull'uomo.

«Perdonatemi, Nasari-Dono. Un viandante chiede di voi».
Il giovane monaco alzò per un istante gli occhi da terra, scrutando la nuca lucida dello Shudoushi dove campeggiava, da orecchio a orecchio, un tatuaggio sacro. Si trattava di un complesso ideogramma dell'antica lingua del Katai, il cui significato era noto solamente allo Shudoushi in persona.
«Fatelo entrare» disse quest'ultimo.
«Poi, tornate al vostro incarico».
Con un rapido inchino, il giovane monaco si congedò, lasciando lo Shudoushi solo nella camera. Attraversato rapidamente il giardino, il monaco entrò in silenzio nel sancta-sanctorum del tempio. Si trattava di una stanza piuttosto piccola e poco illuminata, alla quale solo lo Shudoushi aveva accesso. Ma non in quella occasione.
Dopo essersi inchinato in segno di riverenza, il monaco si avvicinò all'altare. Su di esso, era esposta una lunga katana dal fodero turchese, abbinata ad una spada più corta. Quel genere di coppia di armi era nota tra i guerrieri del Katai come ''daisho'': ma quelle sull'altare non erano armi comuni.
Il monaco stava infatti guardando una delle quattro Bannin-Kama, le Falci dei Custodi, sul cui conto circolava ogni sorta di leggenda.
Dopo essersi inchinato nuovamente, il giovane monaco prese le due reliquie e le avvolse in un panno di seta, che aveva portato con sé. Quindi, avvolse il panno in un ulteriore rettangolo di stoffa, questa volta molto più grezza, e legò l'involucro con della corda.
Fatto ciò, si inchinò nuovamente ed uscì dal tempo, portando il fagotto tra le mani.
Attraversò il monastero senza dire nulla e senza alzare gli occhi da terra. Giunto all'uscita, si fermò per un attimo.
«Andiamo» disse quindi a se stesso: scesi i gradini, si unì a una piccola comitiva di pellegrini, che lasciava in quel momento il tempio, e si allontanò in silenzio, meditando sulla sua prossima meta: la casa del Maestro, la Jutaku-Tatsujin.




[Modificato da BrightBlade 07/09/2008 19:19]





BrightBlade
Vassallo e Ambasciatore del Regno di Blue Dragon
Gran Maestro della Gilda dei Paladini di Blue Dragon
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I Giardini di Atlantide
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