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Le Falci dei Custodi

Ultimo Aggiornamento: 13/03/2013 13:09
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Sesso: Maschile
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28/09/2009 17:48
 
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In quel mentre, alle pendici dei monti Ishidan...

«La spada del generale è una spada che fugge. La spada del generale è una spada che fugge...».
Tachi Senmeina ripeteva quella frase da ore, come un mantra, ma invano. In tutta la sua vita, Senmeina non aveva mai dubitato della saggezza dei detti di Suntsu, che tante volte lo avevano condotto alla vittoria: tuttavia, in quel frangente non riusciva a reprimere del tutto il desiderio di girare il destriero e passare a fil di spada ogni ninja da lì a Katai.
«La spada del generale è una spada che fugge...» disse ancora una volta, per convincersi.
Dietro di lui, la colonna di cavalieri si snodava per oltre un chilometro, come la coda di un serpente variopinto. Più di tremilacinquecento Samurai, appartenenti a oltre centoventi clan da tutto il Katai, lo avevano seguito quando aveva deciso di abbandonare la capitale e molti altri si erano uniti lungo il cammino. Si era ormai in autunno inoltrato e l'aria era tersa e fredda. Il gelido vento del nordovest spazzava l'altopiano, scompigliando l'erba alta che lo copriva come un tappeto e scuotendo i rami dei pochi alberi che punteggiavano il paesaggio. Ad un bravo pittore sarebbero bastati pochissimi colori per raffigurare la pianura: verde smeraldo, azzurro turchese, grigio e bianco per le nuvole che striavano il cielo. Su quello sfondo, la colonna di Samurai in marcia verso le montagne risaltava come una lanterna in una notte senza luna. I leggendari bushi cavalcavano in completo assetto da guerra, molti indossando persino l'elmo da battaglia. Avevano armature rosse, brunite, gialle, verdi, persino azzurre; corna dorate e maschere sfavillanti adornavano gli elmi da battaglia. Quasi tutti i Samurai erano armati di katana e wakizashi, riposte in foderi smaltati legati alla vita, e portavano seco l'immancabile arco – che, al contrario di quanto pensino in molti, è l'arma distintiva del Samurai.
Mentre osservava i suoi compagni d'armi, Tachi Senmeina si commosse: ognuno di quei guerrieri avrebbe preferito darsi la morte a Katai piuttosto che abbandonare lo Shogun, eppure essi avevano compreso che l'unico modo per servire il loro signore, in quel momento, era continuare a vivere.
«La spada del generale è una spada che fugge».
Senmeina riconobbe che, ancora una volta, Suntsu aveva ragione. Naturalmente, il detto si riferiva al fatto che un esercito non può vincere se perde il suo generale, e dunque questi deve comportarsi di conseguenza, ad esempio evitando di gettarsi nella mischia a ogni occasione. Tuttavia, come sempre le parole del leggendario stratega si applicavano a un gran numero di circostanze, come quella in cui si trovava Senmeina. Assieme ai Samurai al suo seguito, egli era l'unica garanzia di vita per lo Shogun: se fosse morto, Hidetada – o chiunque ne tenesse le redini – avrebbe avuto strada libera per il trono. Paradossalmente, proprio allontanarsi dallo Shogun era l'unico modo per proteggerlo: neppure un folle avrebbe osato attentare alla vita di Ieyasu, sapendo che un intero esercito di Samurai era pronto a scendere sulla capitale in qualunque momento!
Inoltre, allontanarsi da Katai significava anche allontanarsi dalle grinfie dei Sawamura. Se il loro potere era indubbiamente grande in città, al di fuori di essa i ninja potevano contare su molti meno alleati. Tachi non aveva scelto a caso la sua destinazione: il grande castello di Hyouga Ganseki, sulle pendici dei monti Ishidan, apparteneva da oltre sei generazioni al clan Takeshi, che fra tutti era senza ombra di dubbio il più avverso ai Sawamura.
Mentre pensava, si accorse che un Samurai si era staccato dalla colonna e cavalcava nella sua direzione. Quando il bushi si fu avvicinato, Tachi riconobbe in lui uno dei guerrieri di Takeshi, inviato dal castello per scortare Senmeina.
Giunto accanto a Tachi, il bushi si inchinò con rispetto, quindi disse:
«Perdonatemi, Senmeina-dono. Siamo seguiti»
Il capo dei Samurai aggrottò le ciglia:
«Sono i Sawamura?»
«Non credo, mio signore. Si tratta di un uomo solo; inoltre, non sembra così preoccupato di nascondersi alla nostra vista. Si direbbe piuttosto che sia interessato ai nostri spostamenti... Guardate!»
Il bushi indicò verso i monti Ishidan. Tachi alzò lo sguardo, ma non vide nessuno. Stava per chiedere spiegazioni al bushi, quando i suoi occhi colsero qualcosa. Un uomo stava in piedi su una formazione rocciosa sovrastante la valle. Era avvolto da un grande mantello bianco, ragion per cui il Samurai non l'aveva visto subito contro lo sfondo altrettanto pallido del cielo nuvoloso. Dal mantello, spuntavano inequivocabilmente le due spade tipiche di un Samurai.
Tachi fece un ampio gesto con la mano, come per salutare lo sconosciuto: ma questi, dopo averlo osservato per qualche secondo, sparì oltre il crinale.
«Devo inviare i miei bushi ad indagare?» chiese il Samurai di Takeshi. Il tono della voce tradiva la sua impazienza di brandire la spada. Evidentemente, pensò Tachi, è molto giovane.
«No... – disse infine – lasciatelo perdere. Se è una spia, ormai avrà contattato i suoi superiori, e poi la nostra destinazione non è un mistero. In verità, però, non credo che sia un agente dei Sawamura. Porta armi da Samurai e non ha paura di mostrarsi al nostro sguardo. Chissà cosa vuole...»
Dopo che il bushi si fu congedato con un rapido inchino, Senmeina scoccò un altro sguardo al crinale dietro cui era sparito lo sconosciuto. Per qualche ragione, aveva la sensazione che avrebbe rivisto quell'uomo... molto presto.
Infine, Tachi si volse a nord. Lo Hyouga Ganseki era proprio in fondo alla valle, appollaiato su una ripida collina. Contemplando le grandi mura di pietra e i tetti spioventi, Senmeina si sentì più sicuro. Ben presto avrebbe occupato i suoi bastioni e sciolto i vessilli con la Malva rosa al vento...
E poi? Senmeina aveva saputo dell'arrivo di emissari dal Regno di Blue Dragon, incaricati di occuparsi degli attacchi ai quattro Templi: forse, i seguaci del Sommo avrebbero smascherato il complotto contro Ieyasu, o forse si sarebbero limitati a svolgere il loro compito. Proprio mentre lui giungeva al castello, gli ambasciatori del Drago Blu erano probabilmente al cospetto di Hidetada...
Dopo aver meditato sulla questione, Senmeina decise che doveva incontrare quegli stranieri e informarli – sempre che non lo avessero scoperto da soli – del complotto. Katai e il Regno erano vincolati da promesse di pace e reciproco aiuto e quegli occidentali avevano dimostrato in molte occasioni di onorare la sacralità della parola data come un vero bushi.
Inoltre, Senmeina credeva di sapere dove sarebbero andati gli stranieri, una volta lasciata la capitale...
«Danjiki-san!»
Il Samurai fu da lui in un baleno.
«Recati immediatamente alla Jutaku-Tatsujin. Se non mi sbaglio, là troverai i seguaci del Drago Blu, altrimenti cercali. Quando li avrai raggiunti, riferisci loro questo messaggio: Tachi Senmeina li aspetta quanto prima allo Hyouga Ganseki e li prega di accorrere con la massima urgenza».
Non appena Tachi ebbe finito di parlare, il Samurai voltò il destriero e partì al galoppo.
Soddisfatto, Senmeina si affiancò alla colonna di bushi che risalivano lentamente la strada verso la fortezza.
Ora, non rimaneva che aspettare.
[Modificato da BrightBlade 28/09/2009 17:52]
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