00 08/07/2005 18:30
Quando gli occhi di Kentan si schiusero nella penombra della stanza, ci vollero alcuni istanti prima che focalizzasse dove si trovava.
Quando fu in grado di mettere a fuoco l’ambiente, riconobbe la nuda roccia delle pareti, la porta di ferro, finemente intarsiata nel centro, e il grosso armadio addossato alla parete di destra. E capì di essere a casa.

Provava quella sensazione sgradevole ogni volta che si svegliava da un profondo sonno, e benché durasse solo per pochi istanti, aveva la grave capacità di scuoterlo e disorientarlo nell’intimo.
Si sollevò piano sui gomiti, mentre passava il pugno destro sul rispettivo occhio, massaggiandolo vigorosamente, nel tentativo di scacciare lontano da sé il pesante torpore del riposo.
Gettò di lato il lenzuolo bianco, che si ammassò su di un lato dell’ampio baldacchino matrimoniale. La sua figura nuda si alzò in piedi, e al contatto con il liscio pavimento di ossidiana venne percorso da un lieve, ma lento, fremito formicolante.

Era completamente solo nella stanza. L’aria era permeata da una sorta di colorazione rossastra, di cui non era ben semplice intendere la provenienza, in quanto pareva volteggiare ovunque.
Osservò qualche istante la propria figura riflessa nel pavimento. Mentre le sue palpebre, sbattendo, si abituavano alla luce eterea, lasciò che lo sguardo vagasse sulle proprie, muscolose forme. La cicatrice che recava sul polpaccio non si era ancora del tutto rimarginata, a sempiterno ricordo che la specie di rampicanti nota come Lamae Folia recavano tale nominativo non per una vezzosa scelta dei dotti, ma per una triste fama.
Si avviò lentamente verso il grosso armadio, a lato del quale vi era una piccola bacinella di porcellana su un piedistallo di ferro grosso battuto. Vi si sciacquò il viso e la bocca, un gesto che compiva ogni volta che si svegliava, e lasciò gocciolare quasi tutta l’acqua dal proprio viso nella bacinella, rimanendo piegato sulla propria schiena.
Quando si rialzò, alcune gocce, veloci, scivolarono lungo il suo mento, il suo collo, il suo petto aitante; lo rinfrancarono un poco dal pesante caldo avvertito durante il sonno.
Con gesti estremamente lenti, aprì poi le ante del grosso mobile: in esso vi era contenuta una corazza scura, completa, e di lavorazione sopraffina, e alcuni spartani vestiti; afferratone uno, un poco sgualcito all’altezza della spalla, lo indossò senza fretta, partendo dalla parte inferiore, più forse per una questione di routine, che non per coprirsi in fretta la zona inguinale.
Pensò, mentre indossava un sottile corpetto di tessuto imbottito, a quanto fosse riuscito a dormire, quel giorno. Quel luogo aveva la misteriosa proprietà, a volte, di far perdere ogni cognizione di spazio e tempo, anche a chi, come lui, viveva lì da quasi un decennio.

Non era ancora adulto, quando trovò l’entrata di quella caverna. Poteva dire, in effetti, di essere cresciuto in quel luogo, con gli eccentrici abitanti che lo “popolavano” ..se di popolazione si può parlare, dal momento che ammontano a pochissime decine.

Si chinò sul proprio ginocchio destro, producendo un lieve, ma sordido, suono metallico. Nella nuova posizione, fu in grado di assicurare alla gamba le protezioni della corazza e degli schinieri. Quando ebbe ultimato, ripeté l’operazione sull’altra gamba.
Ci volle poco per allacciare le ultime cinghie di metallo; pochi istanti dopo, con una spilla, appuntò una piccola spilla metallica al grande mantello, sopra la corazza scura, nera come il pavimento su cui poggiava i piedi.
Allungò la mano all’interno del mobile per l’ultima volta, traendone una pesante spada a due mani dall’elsa finemente intarsiata. Vi era incastonata una piccola pietra rossa, presumibilmente un rubino; posizionata esattamente nel punto di convergenza degli assi, riluceva debolmente ad ogni spostamento della lama. L’impugnatura era particolarmente ampia, e faceva scivolare l’attenzione verso un pomolo piuttosto voluminoso, probabilmente per bilanciare un’arma dalla lunghezza piuttosto estesa.

Facendola roteare molto piano, per evitare di colpire inavvertitamente qualche suppellettile della stanza, la assicurò al fodero che portava sotto al mantello, lasciando che solo parte dell’elsa fosse visibile.

Quando fu finalmente pronto, volse un ultimo sguardo lungo le pareti della camera. Sospirò piano, mentre tirava a sé il pesante portone, scoprendole nuovamente spoglie, e uscì fuori.

[Modificato da Cyber Dark 07/11/2005 16.13]