Stellar Blade Un'esclusiva PS5 che sta facendo discutere per l'eccessiva bellezza della protagonista. Vieni a parlarne su Award & Oscar!

 
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Un messaggio dal passato

Ultimo Aggiornamento: 21/03/2005 14:40
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14/07/2004 17:27
 
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Keeran Lathern fu sollevato dal terreno, mentre una nube di crepitante energia nera lo avvolgeva.
Lentamente, pezzo dopo pezzo, la sua armatura fu consumata dall’energia negativa. Re Jaleth Kahn osservò immobile, senza scomporsi, l’avvento del suo carnefice.
Un’esplosione di tenebra lo scagliò a terra, mentre tutte le finestre della sala esplodevano, ed il grande rosone andava in mille pezzi.
Ora una nuova armatura rivestiva Keeran. Era completamente nera, lucidissima. Dietro le sue spalle, due paia di ali metalliche si spiegarono.
L’armatura era costellata di gemme color porpora, e non lasciava scoperto neppure un centimetro quadrato del corpo di Keeran, ad eccezione del volto che era ancora visibile, incorniciato da una sorta di elmo sulla cui sommità spiccava il Diadema. Quest’ultimo riluceva sinistramente, proiettando una fredda luce sul volto stravolto del giovane. Gli occhi del ragazzo brillavano di luce rossastra, la pupilla si era evidentemente fusa nel rosso fuoco che riempiva la fessura un tempo occupata dagli occhi. Sembrava che fossero stati sostituiti da due globi di roccia fusa.
Le mani guantate di acciaio di Keeran afferrarono la spada, anch’essa divenuta nera. La lama dell’arma era stata deformata, e non aveva più la curvatura caratteristica delle Lame di Atlantide. Era ora perfettamente diritta, ed il filo era interrotto da una seghettatura che le conferiva un aspetto particolarmente sinistro. Sembrava non chiedere altro che le carni di un nemico da straziare.
Keeran era divenuto il Portatore di Tenebra, l’Araldo Nero.
Egli si volse verso il Re. “E’ giunta la tua fine”. Jaleth Kahn sentì provenire la voce da ogni angolo della stanza. In effetti, probabilmente il Distruttore aveva parlato direttamente nella sua mente.
Il sovrano di Atlantide abbassò lo sguardo. Ai suoi piedi, vide un frammento del rosone che aveva sovrastato, fino a pochi minuti prima, il suo trono. Vi era raffigurato uno degli eroi, mentre affrontava una bestia immonda, forse un drago degli abissi. La vista di quel frammento diede fiducia al Re, che sguainò la sua sacra Lama.
“Se dunque è giunta la fine di Atlantide, che Atlantide cada combattendo” sussurrò, e si lanciò alla carica.
Se ci fossero stati spettatori in quella sala, avrebbero detto che quello era uno dei duelli più titanici che si fossero mai visti. Ma non c’erano spettatori, nella Sala del Trono.
Soltanto Re Jaleth Kahn e il Distruttore, colui che un tempo fu Keeran Lathern, allievo del Gran Veggente.
Il Sovrano e il Portatore di Tenebra si scambiavano spesso i ruoli di attaccante e difensore. Combattevano con una rapidità eccezionale, eppure fino a quel momento nessuno dei due aveva subito un colpo. Raffiche di fendenti si susseguivano come onde del mare, e allo stesso modo si infrangevano nelle difese dell’altro.
Tuttavia, il duello non poteva essere infinito. Re Jaleth avvertiva già i primi segni della stanchezza. Invocando il favore degli dei, scagliò un globo di energia luminosa verso l’Araldo Nero, facendolo esplodere a pochi passi dall’avversario. Il colpo scagliò il Distruttore all’indietro di una ventina di metri, senza tuttavia provocargli alcun danno, per lo meno in apparenza.
Approfittando di quell’attimo di pausa, il Re deterse con il dorso della mano guantata il sudore che scendeva copioso sulla sua fronte.
In quel momento, il suo avversario si stava rialzando in piedi, scrollandosi di dosso le macerie che lo avevano sommerso. Jaleth Kahn si preparò a difendersi dall’attacco. Invece che raffiche di fendenti, questa volta giunse un urlo stridulo. Il cuore del Re, saldo fino a quel momento, fu invaso dal terrore più profondo. Era un terrore arcano, irrazionale, come la paura dei bambini per il buio. Un terrore che Re Jaleth non poteva combattere. Il Terrore Nero.
Il sovrano di Atlantide si volse, e cominciò a correre. Dietro di lui, il Portatore di Tenebra lo inseguì, come un ghepardo che bracca la sua preda.
Il fuggitivo oltrepassò il trono dorato, scostò un arazzo millenario e si lanciò attraverso il tunnel retrostante. Alle sue spalle, l’arazzo fu fatto a pezzi, mentre il Distruttore proseguiva il suo inseguimento nell’angusto corridoio.
Jaleth continuò a correre, senza neppure rendersi conto di dove stava andando. Oltrepassò alcune biforcazioni, imboccando ora la via a destra, ora quella a sinistra. L’unica cosa certa era che stava scendendo sempre di più nelle profondità della terra. Non osava neppure voltarsi indietro, percepiva la presenza del suo inseguitore dal tuonare dei suoi passi, amplificato dall’eco. Per un attimo, il Re ebbe come l’impressione di essere inseguito da un esercito di nemici.
Proprio in quel momento, tuttavia, intravide una luce in fondo alla galleria.
Una luce? Come è possibile?, si chiese il sovrano. Era ormai un’ora, forse un giorno – Jaleth aveva completamente perso la cognizione del tempo – che scendeva ininterrottamente: come potevano i raggi del sole giungere così in profondità?
Infine, giunse al termine della galleria. Con profondo stupore, il Re notò di essere sbucato non in una pianura, ma in una gigantesca caverna.
“Il Cuore di Atlantide…” mormorò incredulo.
Di fronte a lui, sospeso a parecchi metri del terreno, un gigantesco globo luminoso irradiava di luce bianchissima tutto l’antro. Sembrava palpitare di energia, ed in effetti scariche elettriche scoccavano dal globo per colpire le pareti circostanti e nutrire la terra dell’isola.
Jaleth Kahn aveva sempre saputo dell’esistenza del Cuore – ogni atlantide lo percepiva – ma non credeva esistesse una via per raggiungerlo.
Lentamente, anche il Portatore di Tenebra entrò nella caverna. Il Re ora non aveva più paura.
Voltandosi, fronteggiò il nemico.
Questi cominciò a ruggire. Dapprima piano, poi sempre più forte, come l’eco di un tuono scoppiato a molti chilometri di distanza. Lentamente, nella caverna si fece più buio, quasi come se l’energia negativa dell’Araldo oscurasse quella del globo luminoso.
Il Distruttore levò la spada verso l’alto, quindi la fece roteare e, afferrandola con entrambe le mani, la piantò a terra, accompagnando il gesto con un ruggito titanico.
Immediatamente, l’intera grotta cominciò a tremare e giganteschi pezzi di roccia si staccarono dalla volta, piombando ovunque. Un crepitante campo di energia malefica avvolgeva ora l’Araldo Nero, che teneva ancora saldamente la spada conficcata nel terreno.
Re Jaleth avvertì un movimento alle sue spalle e si voltò: il Cuore di Atlantide stava cadendo!
Senza perdere un momento, il sovrano si portò sotto il globo luminoso, quindi alzò le braccia, i palmi delle mani rivolti verso la sfera, e raccolse il suo Spirito. Fu avvolto immediatamente da un’aura luminosa, e ogni traccia di stanchezza scomparve dal suo volto.
La sfera cadde sulle sue mani. Il Re subì il colpo, poggiando un ginocchio a terra. Lo sforzo che stava compiendo era titanico, ma Jaleth Kahn aveva fiducia nei suoi dei.
Gridando la sua sfida alle tenebre, si risollevò in piedi, ergendosi in tutta la sua statura. Alzò lo sguardo, puntando i suoi occhi sull’Araldo Nero. Il Distruttore estrasse da terra la spada, e Re Jaleth capì cosa voleva fare il mostro, così come comprese di non poter far nulla per impedirglielo, impegnato com’era nel sostenere il Cuore di Atlantide.
Con un ruggito furibondo, il Portatore di Tenebra scagliò la sua arma. La Lama volò infallibile, colpendo il Re in pieno petto e penetrando nelle sue carni con facilità. Jaleth Kahn barcollò, infine cadde in ginocchio. Ogni suo sforzo era proteso a sorreggere la sfera luminosa che lo sovrastava. Il Distruttore si avvicinò, mentre un’altra spada si materializzava tra le sue mani. Giunse di fronte al Re inginocchiato, sovrastandolo con la sua mole mastodontica. Sollevò la spada sopra la testa e la conficcò nel petto del sovrano poco più in alto della prima spada.
Jaleth sentì il suo stesso sangue invadergli la bocca, capì di essere spacciato. L’Araldo Nero si preparava a sferrare ormai il colpo di grazia.
Per un attimo il Re ebbe paura della morte. Fu tentato dal lasciar perdere il globo luminoso che sorreggeva, fuggire lontano, salvarsi la vita. Gli sarebbe bastato un gesto per aprire un portale e fuggirne attraverso, salvandosi dalla distruzione dell’isola. Aveva subito terribili ferite, è vero, ma i suoi poteri erano abbastanza grandi da permettergli di sopravvivere… perché non farlo?
Il Re si accorse di star tremando, mentre il mostro sopra di lui sollevava la sua arma.
Di colpo, ricordò le parole del suo antico maestro.
“Coraggioso non è chi non ha paura, ma chi teme e combatte ugualmente”.
Re Jaleth non aprì mai il portale che lo avrebbe condotto alla salvezza. Non utilizzò mai i suoi poteri per sanare le ferite che aveva subito.
Ruggendo come un leone, balzò in piedi. Per un attimo, il suo grido di sfida oltrepassò il rombo del terremoto, il crepitare dell’energia della sfera, rimbalzando da lato a lato.
Il Distruttore indietreggiò, terrorizzato, lui che non aveva mai conosciuto la paura. Lasciò andare la spada, e si voltò per fuggire.
Jaleth Kahn raccolse le sue ultime forze, e scagliò il Cuore di Atlantide contro il mostro.
Il globo di energia crepitante parve espandersi ed occupare l’intera caverna.
Il Portatore di Tenebra ruggì la sua impotenza, mentre la sfera volava verso di lui, impossibile da evitare o da respingere.
Il Cuore di Atlantide entrò in contatto con l’Araldo Nero, lo avvolse nella sua energia.
Infine, esplose.

Jaleth Kahn non vide la fine di Atlantide. Subito dopo aver scagliato la sfera di energia, cadde a terra, morendo prima ancora di toccare il suolo.
L’esplosione che scaturì dal Cuore di Atlantide disintegrò il Distruttore, cancellando per sempre la sua presenza. Il solido strato di roccia granitica su cui poggiava l’isola di Atlantide fu spazzato via dall’energia scaturita, e l’isola sprofondò in pochi minuti, pezzo dopo pezzo. Nulla si salvò, tutto fu sbriciolato dai terremoti o dalla furia del mare che si riversò ad occupare quel pezzo di terra che si era sottratto, migliaia di anni prima, al suo manto e che ora, finalmente, ritornava sotto le onde.

Cullato dalle onde, mi poggiai sul fondo dell’oceano, in attesa che tornasse il mio tempo.
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