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Centro Italia: un altro forte terremoto

Ultimo Aggiornamento: 05/09/2016 21:17
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Sesso: Maschile
Eroe
03/09/2016 10:37
 
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Io penso che il Je suis Charlie, in Italia, sia stato interpretato in tutti i modi più sbagliati. In realtà, non so effettivamente che cosa dovesse significare, a parte la grande paura dei media, veicoli d'opinione, che hanno diffuso il Je suis Charlie per raccogliere solidarietà intorno a sé. Questo spiega anche perché Charlie Hebdo sia stato praticamente l'unico nome a essere ricordato, quando, negli stessi giorni, un intero supermercato ebraico veniva sequestrato e quattro ebrei venivano assassinati.

Il fatto è che era (è) giusto condannare gli attentati e gli assassini. Il male, però, nell'aggressione alla redazione di Charlie Hebdo, non era nel fatto che la gente si sia incazzata o offesa nel leggere le vignette, o che sperasse che il giornale chiudesse in fretta. Il male è nel fatto che questa rabbia si sia espressa attraverso la violenza criminale, opponendo a quelle che erano parole (per quanto offensive, parte del dialogo e della libertà di parola) l'omicidio. Il Je suis Charlie poteva avere senso solo nel "Io sono vittima", quando la vostra libertà di parola è violata, lo è anche la mia; a cui si unisce il fatto che, da sempre, vige in Occidente il principio che il dolore merita rispetto.

Esattamente il concetto che Charlie Hebdo non ha rispettato.

A parte questo, la glorificazione della satira dovuta al non aver capito cosa dovesse significare "Je suis Charlie" ha avuto effetti stravaganti in Italia e in Europa. Non ci si poteva più offendere per le vignette di cattivo gusto, perché se no non siamo più tutti Charlie. Vauro celebra la morte di Casaleggio disegnando Grillo come burattino coi fili tagliati? La gente non può dirsi offesa dalla mancanza di rispetto verso il defunto, almeno nelle ore immediatamente successive alla sua dipartita, perché "eh ma non si era Charlie?" (questo lo dico da persona assolutamente non amante di Casaleggio). Soprattutto, la satira, con la sua tendenza all'umiliazione e alla deformazione nel grottesco del nemico politico da sempre è stata il mezzo dei razzismi e della propaganda dell'odio. Non la si può santificare in toto, come non si può santificare Charlie Hebdo, che, comunque, era una rivista con un pubblico specializzato e molto ristretto: adesso che è un fenomeno di massa, sarà ancora meno accetta di prima. E, per qualche motivo, queste cose non le si legge quasi mai (solo un articolo sulla Sueddeutsche Zeitung faceva notare le ambiguità di un'improvvisa glorificazione della satira).

Meno "Je suis Charlie", più "Vous êtes victimes. Moi aussi je suis victime", perché è questo il sentimento di comunione e solidairtà che può aiutare ad andare avanti, senza escludere alcuni morti per il fatto che non scrivono in un giornale.




Vinyadan, filosofo errante
Aspirante Vassallo del Regno e membro della Gilda degli Artisti
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