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Il corridoio al di fuori della stanza di Kentan era permeato dello stesso bagliore rossastro che impregnava tutta l’aria e le pareti stesse. Nemmeno il pavimento era cambiato: la pesante lastra di ossidiana si estendeva ancora a lungo nelle profondità del complesso, in entrambe le direzioni.
Kentan cominciò a camminare sicuro in una di esse, percorrendo svariate decine di metri, e incorrendo, di tanto in tanto, in altre piccole porte metalliche infossate nella parete rocciosa. Sembrava che nessuno fosse in circolazione, benché, a volte, fosse possibile sentire suoni concitati o piccole grida provenire da chissà quale angolo del districato labirinto di ossidiana. Kentan sorrise piano a quelle urla.

Man mano che i suoi passi lo conducevano all’interno della terra, cominciò ad avvertire un peculiare calore, che pareva provenire dalle pareti stesse, e che probabilmente era causato dalla stessa fonte che aveva prodotto anche quella mistica illuminazione purpurea.
Il tragitto dalla sua stanza al luogo verso cui era diretto era piuttosto breve, e lo conosceva a fondo: l’aveva percorso svariate volte.
Dopo qualche minuto di silenziosa camminata, fatta eccezione per il tentennare del metallo sopra al suo corpo, arrivò ad una piccola scalinata. I gradini sembravano costituiti da una qualità diversa di roccia, che li faceva rilucere in maniera più chiara, e quasi più sinistra. Su di essi, tuttavia, era steso un pesante tappeto color porpora, che li copriva quasi completamente.
Kentan cominciò a salire lentamente le scale. Già varie volte il suo piede aveva calpestato il morbido tessuto del tappeto, ma nonostante questo un caratteristico brivido gli corse lungo la schiena. Gli accadeva sempre, quando si apprestava a varcare l’ampio ingresso della sala del trono.

Quando la scalinata finì, una raffica d’aria bollente lo investì in pieno. La caverna si estendeva, verso l’alto, per svariate decine di metri, così che era impossibile osservarne il soffitto. L’aria era ancora permeata di quel nauseante rossore, ma l’immensità della volta era talmente estesa che l’antro sembrava essere sprofondato in una profonda oscurità. Il pavimento si estendeva per parecchi metri in ogni direzione, ed era costituito dallo stesso materiale con cui erano stati scolpiti i gradini di cui si era servito pochi istanti prima. Davanti a sé, il tappeto proseguiva nell’ombra.

I suoi passi sicuri lo condussero lungo quella via, seguendo le zigrinature ricamate sul ricco tessuto. Dopo pochi passi, poté vedere, nell’ombra della stanza, tanti piccoli fuochi fatui immobili al suo fianco. Gli ci vollero solo pochi secondi, per notare che si trattava della luce di semplici candele.
La stanza ne era letteralmente pervasa, ora. Si trovavano sulle pareti, sul bordo del tappeto, sparse per la stanza su raffinati candelabri, e si perdevano in lontananza, dando l’impressione che quell’ambiente fosse privo di un qualsiasi contesto spaziale.
Arrivò infine di fronte ad un’ennesima rampa di scale. Di gran lunga più piccola, su di essa vi erano stesi parecchi tappeti, che in più punti si sovrapponevano, creando un effetto decisamente sfarzoso e superbo. Al di sopra di essi, si innalzava una scultura dalle forme agghiaccianti, come costituito da fiamme splendenti, probabilmente per via del prezioso oro di cui era foggiato, ed artigli, lingue, arti truculenti e sguardi truci. Il peculiare simulacro, il trono, era sovrastato da una figura ancora più agghiacciante: sulla parete dietro di esso si ergeva una statua che pareva essere, piuttosto, una sorta di mostruosa creatura incatenata alla parete. Sorretto da catene e chiodi profondamente piantati in essa, la figura rappresentava un demone cornuto, provvisto di due paia d’arti. Nel paio superiore di essi, reggeva due fiamme vive, vere, che illuminavano in maniera più sfavillante l’ambiente intorno ad esse, ma per un brevissimo diametro, prima che le ombre inghiottiscano i raggi da esse emanati. Il paio inferiore reggeva, invece, un grosso amuleto, di cui Kentan non conosceva il simbolo raffigurato, ed una grossa spada, equiparabile per grandezza a quella di un balor, ma certamente più mostruosa. L’agghiacciante figura era quasi interamente coperta di sangue, fatta eccezione per i due occhi, azzurri come il ghiaccio, che parevano trapassare l’intera stanza con il loro brillare.

Kentan si fermò ai piedi della rampa di scale. Si inginocchiò profondamente, non mancando di notare, nel gesto, due mucchi di teschi ammassati ai suoi fianchi. Chiudendo gli occhi, e facendo una lieve smorfia, completò il gesto, che protrasse almeno per una decina di secondi.
Quando si rialzò, ed osservò di nuovo in direzione del trono, notò un cambiamento essenziale.

Una figura era comparsa dove prima non vi era nessuno, e pareva trovarsi lì da parecchi lustri.
Non vi era bianco, nei suoi occhi: erano rossi come il fuoco più scuro, interrotti solo dalla sfumatura più chiara dell’iride. Portava capelli estremamente lunghi, che presumibilmente raggiungevano le ginocchia, addossati su di un lato della bieca statua, ed erano di un azzurro molto tenue, assimilabile ad un bianco del tutto caratteristico, come privo di ogni traccia di candore.

Il guerriero osservò a lungo la misteriosa figura, socchiudendo gli occhi nel farlo. Poi chinò di nuovo il capo, piano, in un gesto d’ossequio più contenuto, più profondo. E parlò senza più incrociare quello sguardo sovrumano.

"Mio Signore, Sommo Re, Red Dragon..eccomi."