In un'ora imprecisata della notte lunghi passi rieccheggiavano nel Castello.
Fuori il cielo era sereno: ogni costellazione risplendeva chiara nell'aria tersa, mentre una leggera brezza portava il profumo di neve dal Gran Massiccio.
Le aule del Castello erano vuote e silenziose, seppur qualche movimento ancora si sentiva in quel piano inferiore, teatro di calde passioni nelle stanze dell'Harem e nella Locanda, dove forse il buon Nappa faceva il conto della giornata circondato da avventori ormai ubriachi e senza voce dopo una serata di bagordi e canti.
Dei passi fermi invece rimbombavano nelle alte volte in una direzione del tutto differente: l'Armeria.
Quell'Armeria era un posto speciale, lì vi erano riposte armi straordinarie ma soprattutto cariche di un passato leggendario.
Questo rendeva il posto carico di quel senso di sacralità che pur permeava ogni centimetro del Regno, solo che fra quelle mura, al pari delle mura della grande Cattedrale, quella sensazione era più forte.
Chi era giunto a quell'ora tarda lo sapeva: a volte tornava ricordando situazioni, persone e posti, ma anche per annotare novità di quel scenario che tanto aveva amato, a cui tanto aveva contribuito e a che sempre era certo di amare.
Ma si sa: un'armeria è un luogo pericoloso e maggiore erano i tesori esposti, maggiori erano le brame che avrebbero potuto suscitare. Sulla porta vi erano delle guardie, al pari dell'altro ingresso.
Semplici guardie, ma vigili e attente come se fosse pieno giorno.
Piena notte, pieno giorno... ogni incarico è importante e porta con sé soddisfazione solo nel momento in cui esso venga svolto al massimo del proprio impegno.
Il viandante avvolto nel mantello blu lo sapeva, al pari di un altro oscuro servitore dello Re. Nessuno entra senza una silente scorta, soprattutto se non identificabile perché avvolto in un manto: questo era un altro compito svolto con perizia e devozione.
"Salve a Voi Ardhinahak" disse quell'uomo all'ultima rampa di scale. Non era certo finché un'ombra scura gli passò di fronte, silenziosa, innaturale. Come se le gambe non si muovessero, in una posa innaturale.
Era un saluto più che gradito, ed era certo gradito più di inutili parole.
Così si presentò alle guardie completamente solo.
"Altolà, chi siete? L'Armeria è aperta alle visite solo...", ma la voce si interruppe insieme ad un gesto tranquillo che svelava un volto più che noto.
Da molte notti era tornato ed aveva impugnato ad una ad una ogni spada, nuova e vecchia, che sarebbe dovuta entrare in quell'armeria.
Una volta spiegò come ogni spada avesse una storia ed ogni storia meritasse di essere ricordata.
Spesso si soffermava anche sui ferri arrugginiti, portati da Aspiranti e Vassalli perché restassero lì custoditi e ricordati.
Altrettanto spesso alcune lame erano respinte a tal onore: assenza di spiegazioni particolari, di poteri particolari o condizioni estetiche di scarso interesse.
Veniva consigliato di condurle alla Gilda dei Paladini, dotata di maggiori spazi. Per quanto le mura si estendessero con ampio respiro ogni arma ed armatura doveva avere il suo giusto spazio, e anche con la prospettiva di gloriose reliquie future l'ingresso era concesso con ampia severità.
Il Sommo Palank stesso spesso considerava ogni arma personalmente, ripetendo gli stessi gesti esperti che ora il visitatore ripeteva. E quando trovava un arnese che non era degno di quelle aule andava di persona dal proprietario per spiegare e consigliare altro alloggio.
L'equipaggiamento di chi si batte per la Luce meritava sempre rispetto e considerazione. Non tutte potevano entrare ma tutte erano cariche della stessa considerazione.
Fra le mani vi era un ferro vecchio, dall'elsa e la sagoma classiche quanto semplici. Non era stata mal curata, solo che era passata attraverso troppe lune e troppi soli, ma soprattutto troppi scontri.
"E' stata lasciata qui da poco da un Aspirante. Non ci ha raccontato alcuna storia: solo il fervente desiderio di custodirla. Gli ho detto di andare direttamente alla Gilda, ma ha insistito comunque che fosse qui."
Si avvicinò notando con stupore l'interesse dell'illustre personaggio. L'aveva addirittura sguainata come non aveva fatto per tutte le spade delle precedenti notti.
"Sull'impugnatura è legato il nome del proprietario, come sempre. Credo che presto gli verrà recapitata... difficilmente ho visto portare qua una spada tanto insignificante."
"Insignificante dite?" queste erano le prime parole che proferiva dalle precedenti visite. Per questo il capoguardiano era scosso.
"Ogni spada ha una storia. Ogni oggetto, anche un sasso, può rappresentare più di quanto con mille vite e mille sacrifici si possa celebrare." rinfoderò la lama nel fodero sgualcito.
"Questo era scritto nella lettera che annunciava e spiegava queste mie visite. E questa spada tornerà al suo proprietario non perché respinta ma perché dinuovo utile. Temo che per molte notti non potrò tornare qui: mi attende un lungo lavoro. Tornerò con la spada, che ora prendo in custodia. Datemi carta, inchiostro e penna. Non credo che il proprietario giunga a reclamarla, è stata portata qui da un animo nobile che ha sacrificato una fidata ma vecchia compagna per meglio servire."
Prese il necessario per scrivere e iniziò a stendere brevi righe prima di prender la via dell'uscita a lunghu e cadenziati passi.
"Sir Don Qixote prendo in custodia con umiltà la Vostra fedele lama.
Non verrà fusa e martellata, bensì verrà riportata alla luce con il massimo rispetto ch'essa, e Voi, meritate.
Se non di persona vengo a chiederVi tale onore spero mi scuserete e gradirete la sua riconsegna.
Non cambierà nel sembiante.
Nè in ciò che la rende grande.
Potrete ricondurla in questa Sacra Armeria, o lo farò io per Voi.
E' certo che verrà onorata, gli occhi del Sommo vedono ben oltre ciò che vedono gli altri, ben oltre ciò che vedo io che pure ho già apprezzato.
Ma vi prometto che MAI sentirete nuovamente il bisogno di ritirarla dalla pugna in una seppur onorata rastrelliera.
Attendete il mio prossimo ritorno con fiducia e una buona dose di impazienza.
Muldon dei Ghiacci"