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-Con questo si conclude l'introduzione e in più ci sono le prime 4 pag. del primo cap.-

Il sole splendeva nel cielo azzurro, i suoi raggi toccavano ogni spiga di grano del campo. Petrus era sdraiato, riscaldato da quella giornata si riposava nel lembo di terra verde che lo circondava. Si appoggiò sulle braccia, in modo da avere una maggiore visuale guardando davanti a lui. Vide la silhouette di una giovane ragazza in un lungo vestito campagnolo, reggeva delicatamente con una mano un cappello sulla testa, un ricciolo bianco le ricadeva sul volto e, come divertita, sorrise. –Allora, vieni? Ti sto aspettando.-
-Samanxia... sì arrivo subito, amore!-, con una spinta si mise in piedi e s’incamminò verso la ragazza. Lei gli tese la mano e Petrus la tirò a sé, abbracciandola e poi baciandola sul collo. -Dai, che fai? Dobbiamo andare, manchiamo solo noi-, Samanxia lo guardò negli occhi e arrossì, -ti amo-.
-Lo so, anch’io ti amo.- così dicendo il ragazzo affondò la sua testa tra i capelli di lei.
Il ninja, che ora non vestiva la sua consueta armatura, ma una ben più comoda toga estiva di colore giallo con una grossa corda nera alla vita, alzò il viso e notò volteggiare tra le nuvole un corvo nero. Lo seguì con lo sguardo scendere di quota, rallentare la sua corsa e appollaiarsi su una staccionata di un casolare a poche decine di metri da dove si trovavano loro.
-Ora dobbiamo proprio muoverci, gli ospiti ci attendono-, Samanxia si staccò dal corpo dell’uomo e, tenendogli ancora la mano, lo condusse fin dentro lo steccato. Un ampio cortile ciottolato di levigate pietre bianche, lasciava spazio a molti alberelli di ginkgo in piccole zone delimitate dalle Hypnozie.
Le Hypnozie erano particolari piante arrampicanti di colore blu scuro che, invece di inerpicarsi sopra ogni superficie, si limitavano a diramarsi in orizzontale, creando un particolare tappeto di soffici foglie. Petrus, che ancora si stava gustando la dolce compagnia della ragazza, si chiese, come aveva fatto negli ultimi sei mesi dopo aver sposato la non più sacerdotessa, se tutto quello che aveva davanti agli occhi era solo un meraviglioso miracolo o era, più semplicemente, la realtà. Era tutto vero, lui stesso aveva assistito alla cerimonia con la quale Samanxia si liberava dai vincoli sacerdotali della Chiesa di Flow e nello stesso giorno convolava a nozze con lui.
Però da alcuni giorni aveva uno strano presentimento: il vescovo che li aveva uniti in matrimonio aveva chiesto di vederli ora per annunciargli una notizia di grande importanza. Ciò che lo aveva preoccupato era il fatto che avesse voluto anche la presenza degli altri suoi compagni di avventure: Raghen e Foe.
Camminando abbracciati, la coppia sposata arrivò al tavolo dove erano attesi. L’asse di legno nero era imbandito da piccole posate, tozzi bicchieri di vetro e da una stuoia di piattini farciti da ogni genere di antipasto. Su tre sobrie sedie erano adagiati i loro due amici e il vescovo Durnhill.
-Aspettavamo solo te per poter cominciare a mangiare!-, il guerriero li accolse così, mentre il mago sorrise e strizzo l’occhio. Il vescovo invece si alzò in piedi e come voleva l’etichetta fece il consueto saluto che si addiceva alla sua carica e allo stesso modo risposero i giovani sposi.
-Sono lieto di vedervi tanto felici, anche se oggi sono venuto a disturbarvi, ma dovevo consegnarvi un’urgente missiva di cui neppure io conosco il contenuto-, Durnhill così si sedette di nuovo e con fare poco elegante riprese,-ma ora pensiamo a riempire la pancia!-.
-Lei non ci disturba mai ed è per noi un vero piacere ospitarla qui da noi e anzi ci stupisce che sia venuto lei in persona per una semplice missiva- Samanxia si sedette vicino a Petrus mentre rivolgeva quella domanda indiretta all’anziano.
-Di solito mando infatti un incaricato per svolgere queste faccende, però ero anche curioso di come stavano andando le cose tra voi due e mi compiaccio nel vedere che non è sorto alcun tipo di problema; ma parliamo più avanti delle altre faccende, intanto allietatemi parlandomi di voi-.
Trascorsero così parecchie ore, parlando, mangiando e bevendo, interrotti solo per accendere un falò che riscaldasse il fresco vento della sera che si era avvicinata senza quasi farsi sentire.





Cap. I





Il corpo incosciente di Petrus, trasportato da Raghen e Foe, era ancora in vita ma inerme. Al momento la mente del ninja era occupata da un bel sogno, dove forse fosse possibile accettare la scomparsa di Samanxia.
Sia il mago che il cavaliere non si erano ancora detti niente sull’accaduto, erano rimasti frastornati da tutto quell’avvenire, si sentivano preda di eventi di cui, per ora, riuscivano solo a subirne gli effetti; l’unica loro volontà era raggiungere Wamashtar e trovare aiuto. Felicia li seguiva, la morte del padre era avvenuta davanti ai suoi piccoli occhi, in una maniera disumana, diabolica, o divina. La paura e lo sgomento per essere stata vittima e spettatrice di forze che non poteva contrastare, impadronivano il suo animo riducendolo al nulla, senza alcun senso. Non importava che potesse arrabbiarsi con gli Déi? A Loro non importava?
L’amarezza li avrebbe accompagnati per molte ore se avessero voluto procedere a piedi in quello stato. Nella radura spazzata via dai terribili fasci luminosi, comparve in lontananza ad un tratto un lungo polverone, seguito dal rumore dello scalpiccio di zoccoli e del clangore di armature. I tre sventurati si fermarono e aspettarono immobili il gruppo di qualsiasi cosa fossero.
Il sollievo di vedere lo stemma ricamato sull’araldo, trasportato da un giovane uomo equipaggiato di uno spadino alla cintura e una tromba nella mano, non bastò a rallegrare l’atmosfera. Infatti, dopo la nota stridula fuoriuscita dallo strumento a fiato, cinque soldati semplici circondarono i tre ragazzi e la bambina.
–Non opponete resistenza, entrate nella gabbia e aspettate di essere trasportati nella città dalla squadra di recupero superstiti.– da un cavallo pezzato parlava quello che doveva essere il generale. Portava capelli scuri che gli arrivavano alle spalle. L’elmo, che presentava una visiera a forma di muso di tigre, celava il suo viso. Nonostante ciò era possibile intuire i suoi lineamenti facendo affidamento alla forma affilata del mento che restava scoperto. Con un gesto della mano fece portare i pesanti contenitori a sbarre metalliche e le fece buttare per terra davanti ai prigionieri.
Raghen, perplesso da quello che stava accadendo, si fece avanti con l’intenzione di cominciare un discorso, ma appena aprì bocca una lancia puntata alla gola lo fece desistere dalle sue idee sul da farsi. –Niente domande o spiegazioni, quelle le lasciamo al nostro inquisitore di corte, entrate nelle celle e aspettate, in silenzio!–
Gli ordini erano chiari e tanto ormai erano rassegnati al fato che li voleva così sfortunati. Entrarono in quelle reti metalliche in silenzio pregando che libertà e tranquillità arrivassero il più presto possibile.
Dopo due ore d’attesa la milizia arrivò portandoli finalmente nella città, loro meta iniziale. Di tutto quello che volevano vedere solo le mura marmoree risplendevano nei loro occhi. Per il portone principale non ci passarono neanche vicino, anzi erano proprio al lato opposto, dal quale si accedeva direttamente alla caserma dei soldati al cui interno era stata costruita anche la prigione e la sala degli interrogatori.
Uno spiazzo, lungo una decina di metri e largo altrettanto, era pavimentato da terriccio scuro, di tanto in tanto erano visibili casse riempite da armi di diverso tipo, alcune delle quali Foe le vedeva per la prima volta; Raghen non ci faceva neanche caso, conosceva già la sua grande ignoranza sulla guerra e non aveva affatto bisogno di rammentarsela; Felicia, al contrario, guardava tutto con stupore ed interesse, con occhi splendenti di curiosità. Superata un’arcata di legno si trovarono in un corridoio illuminato dalle molte torce appese alle pareti. Era già notte e la loro visita turistica all’interno delle galere era appena iniziata.
–Ora apriremo le gabbie… non provate mosse strane o verrete puniti severamente sul posto, domani mattina sarete chiamati per essere interrogati dal nostro inquisitore. Mentre siete in cella cercate di non fare baccano o ci penseremo noi a farvi stare zitti–
Sei soldati uscirono dalle portantine poste davanti e dietro ai prigionieri, le gabbie venivano intanto fatte abbassare dai cavalli che sostenevano i bastoni che le sorreggevano. L’aria fresca e umida all’interno della stanza trasportava un senso impalpabile di imprevedibilità. Il cavaliere, il mago, la bambina, il corpo incosciente di Petrus sembravano forme che male combinavano in quel ambiente lugubre, fatto di uomini dagli sguardi e dalle voci funeree.
Tutti e quattro vennero messi in stanze diverse, tranne il guerriero e la bambina che condivisero assieme la piccola cella. Il ninja non si era ancora riavuto e inutili furono le richieste di aiuto da parte dei suoi amici per portarlo in un luogo in cui lo guarissero. Non sapevano cosa avesse Petrus, ma sentivano che avrebbe corso un pesante rischio se un guaritore non l’avesse immediatamente visitato. Nessuno però si dimostrò particolarmente interessato alla loro condizione, alcuno cercò di aiutarli. Passarono la notte dormendo scomodamente sulle brandine, soprattutto il cavaliere che teneva raggomitolata sul suo corpo Felicia.
Alla mattina il ragazzo la ritrovò sdraiata sul pavimento, forse era caduta per qualche suo movimento notturno. Dalle sbarre poteva vedere un uomo sulla trentina che sonnecchiava appoggiato a una sedia, delle chiavi erano allacciate alla cintola. Accanto al guardiano stava un grezzo comodino sul quale stava un foglio macchiato d’inchiostro blu. Già, per il cavaliere le lettere erano macchie di colore, nel villaggio in cui abitava non c’erano scuole e solo chi viveva una vita agiata poteva permettersi di mandare, con una carrozza, il proprio figlio nell’istituto più vicino, ma nel suo paese non c’era proprio nessuno che aspirasse ad avere una istruzione maggiore a quella di tanti altri suoi compaesani.
–Raghen, sei sveglio?– sussurrava, non voleva che qualche orecchio indiscreto sentisse la loro conversazione.
–Sono sveglio, Foe, ma avrei voluto svegliarmi e rendermi conto che fosse stato tutto un sogno. Amico, devo darti una brutta notizia…–, la voce proveniva dalla cella attigua a quella del cavaliere, il tono era roco e sembrava che tirasse fuori a stento le parole che pronunciava.
–Mago mi spaventi, cos’è successo?–
–Le nostre preoccupazioni sono diventate realtà, non c’è più niente da fare…–, un lungo silenzio aumentò il nervosismo del compagno.
–Petrus è morto–
La notizia cadde come un macigno sulla testa di Foe –Non è possibile, lui era ancora vivo quando… ti stai sbagliando, non può essere, inoltre come fai a saperlo se sei rinchiuso qui? Ah, ho capito sai, è un altro dei tuoi stupidi scherzi, non è vero Raghen? …–
–No, non è uno scherzo, è la verità. Quel foglio di carta lo dice... c’è scritto che uno dei tre uomini raccolti l’altra notte è stato trovato nella prigione senza vita questa mattina. Il nostro amico… è morto…–, il mago piangeva, si sentiva la gola strozzare, la stessa sensazione che stava provando il cavaliere appoggiando la testa sulle sbarre, lo sguardo assente. L’unica cosa ad animare la faccia pietrificata di Foe era un’unica lacrima che gli scendeva sul viso e un leggero tremolio del labbro. Fluiva tutto nella testa, i ricordi, le voci di vecchi dialoghi, le risate fatte intorno al fuoco e camminando, tutte le speranze di un improbabile futuro, ma anche i litigi, quella sua figura di padre del gruppo. Petrus era questo, oltre l’essere un compagno di avventure era soprattutto un caro amico. Non esisteva più, cancellato dal futuro, dal presente, neanche la possibilità di vederlo un’ultima volta ancora vivo, nessun altro secondo per dirgli un’ultima parola, un abbraccio conclusivo di molte esperienze fatte assieme. –È finita… è davvero finita qui, la nostra compagnia si è sgretolata in un paio di giorni, in così poco tempo. Forse era questo quello che volevi bastardo!? Abbandonarci e raggiungere Samanxia, ovunque essa sia? Non dovevi lasciarci nel momento del bisogno, che amico sei tu che ti allontani da noi per sempre?–
Disperato Foe cadeva sulla pietra fredda cercando di allontanare il pensiero così orribile della morte; oggi, come avevano già detto le guardie, avrebbero dovuto sostenere l’interrogatorio, ma con quali forze lo avrebbero affrontato.
–Non c’è più tempo, dobbiamo muoverci, scappare!– Foe sentiva le parole di Raghen ad un tratto più vicine, ma non gli importava, il peso che gravava sul suo cuore aveva affievolito qualsiasi volontà. Il rumore della serratura che scattava fece voltare lievemente il cavaliere che piangeva ancora sommessamente. Quello che vide lo colse impreparato. Davanti a lui stava ritto in piedi il mago che gli porgeva una mano per aiutarlo ad uscire: la cella era aperta. Anche gli occhi dell’amico erano arrossati, ma allo sguardo triste si era sostituita una espressione risoluta. –Non possiamo portarci dietro la bambina, dobbiamo andarcene prima che la guardia si svegli– Foe era ancora un po’ scombussolato, tirando su con il naso chiese –Ma come…–
–Magia... avanti alzati e sbrighiamoci a svignarcela, restare qui non migliorerà la nostra condizione– in Raghen si era acceso uno spirito nuovo, pronto a rialzarsi e combattere. Foe non l’aveva mai visto in quello stato, si domandava se non fosse il proprio modo di reagire alle situazioni tragiche che non si addiceva. Il mago si era rinchiuso in una torre impenetrabile nel cui fondo custodiva tutto il suo dolore, tutta la sua persona, che era troppo fragile per venire alla luce davanti a qualcuno, si era coperta da un manto di apatia.
Il ragazzo che ormai era stato spogliato dell’armatura e del suo mantello rosso, strinse la mano che gli era stata tesa e si rimise in piedi –Senza armi ci sarà difficile superare ciò che stiamo per affrontare–, con il braccio si asciugò la faccia dalle lacrime.
–A questo ci ho già pensato, seguimi e non fare alcun rumore, tutto il nostro equipaggiamento è…–
–Ehi, voi! Cosa ci fate fuori dalle vostre celle!– l’uomo che poco prima dormiva sulla sedia si era destato dal sonno. Il cavaliere, istantaneamente, scostò con una mano il mago poi, facendo un balzo e arrivando davanti al guardiano, scazzottò il muso dell’uomo che, con il naso rotto e battendo la testa sulla parete rocciosa, cadde senza sensi nuovamente sulla sedia –Prendiamogli le chiavi, ci potrebbero tornare utili–, con uno strattone il mazzo si liberò dalla cintura a cui erano legati. –Il vostro padrone ora è un altro– sogghignò Foe. Dietro di loro Felicia miracolosamente non sembrava ancora essersi destata.
–Avanti seguimi– il mago era impaziente di proseguire la fuga, spalancò una porta e all’interno trovò tutti i loro oggetti. –Come facevi a sapere che qua dietro non si nascondeva qualcos’altro?–, chiedeva allibito il cavaliere mentre si precipitava a rimettersi la sua armatura e a rinfoderare la sua cara spada bastarda. –I miei “inutili” poteri me l’hanno suggerito–, lo stregone si chinò allacciandosi sulla schiena il suo grosso tomo con la propria custodia, poi si caricò anche dello zaino, contenente ampolle quasi vuote di sostanze necessarie per procedere ad alcuni incantesimi come quello che avrebbe tra poco preparato. –Oh, non ce l’avrai ancora per quello che ti ho detto l’altra sera? Non dicevo sul serio!–
–Ah, no? Mi sembravi molto sicuro di quello che dicevi quando mi hai alzato per il collo, se non fosse stato per–, il mago si fermò nel proseguire la frase, un nodo alla gola aveva cominciato a farsi sentire, per terra rimanevano ancora le cose di Petrus, i due amici rimasti si guardarono per un istante, ma distolsero lo sguardo prima che uno dei due ricominciasse a piangere per lo sconforto –andiamo prima che ci scoprano!–
Senza dire altro, i due compagni, aiutati dal manto dell’invisibilità evocato magicamente da Raghen, uscirono in fretta dalla fortezza. Tutti pensavano a correnti d’aria o a soldati distratti quando vedevano aperti passaggi e portoni, nessuno era riuscito a vedere oltre la patina dell’illusione creata dal mago, forse la fortuna aveva cominciato a fare buon viso agli avventurieri.