00 30/07/2004 11:34
Incredibile ci sono riuscito col C&I
Un volto e una mano protesa in alto, questo era visibile dalla fioca luce sospesa a mezz’aria.
-Raghen, che stai aspettando? Che ci ammazzino tutti?!- ad alcuni metri un guerriero, con una leggera armatura di cuoio e un largo mantello rosso sulle spalle, spaccava la testa di un omuncolo dal naso schiacciato, dalla bocca larga e dai denti aguzzi, a Nuova Nascita erano conosciuti col nome di Goblin. Il cranio della creatura si spappolò sotto la pressione esercitata dal ragazzo impugnante la spada bastarda, oltre al cervello anche i bulbi oculari purpurei fuoriuscirono.
Lo stregone non diede alcuna importanza a quell’esclamazione, doveva richiamare nella sua mente il complicato incantesimo che ora gli occorreva. L’energia magica defluì dalla testa sino al suo braccio, poi trascorse un breve attimo in cui non accadde nulla: dalla mano si originò un globo azzurrastro, lo stregone fece un cenno con gli occhi e la sfera si catapultò su di un gruppo di umanoidi dagli occhi rossi, di seguito delle lame di ghiaccio perforarono le carni di almeno cinque creature uccidendole.
Una delle lame si conficcò nella nuca di uno dei mostri, la punta usciva dalla bocca, il colpo provocò un fiotto di sangue violaceo che si riversò sul tessuto bianco dell’abito della sacerdotessa che con una mazza e uno scudo tentava di tenere a bada da sola tre goblin. Due colpi riuscì a pararli, ma l’ultimo, infertole da un pugnale, le prese la spalla. Una macchia rossa, grande quanto un pugno, apparve come una rosa scarlatta dove aveva ricevuto la ferita.
-Brutto bastardo! Ora mi tocca lavarlo di nuovo!-. Sferrò un colpo alle costole del goblin, la cassa toracica gli si ruppe per l’impatto e il mostro cadde in avanti morto. La bocca rigurgitante del cadavere formò sul pavimento una pozza sanguinolenta.
Soddisfatta Samanxia sorrise compiaciuta, intanto uno dei due compagni del morto tentò di scappare, ma la lama del guanto di Petrus gli aprì la gola, un altro fiotto di sangue si riversò sul vestito già macchiato.
-L’hai fatto apposta?!- urlò scocciata la ragazza.
Il ninja non disse nulla, rise sommessamente e scomparve nuovamente nell’oscurità da dove aveva sorpreso di spalle la sua vittima.
Il guerriero, distante pochi passi dai suoi compagni, prese una torcia dallo zaino che aveva appoggiato per terra, cercò di farla accendere avvicinandola alla lanterna non molto distante. Due goblin gli furono addosso e la luce appena accesa cadde. L’uomo era steso sul pavimento con un essere che gli teneva ferme le gambe e un altro accovacciato sopra il suo petto con le mani alzate impugnanti una piccola lama. Furioso Foe scaraventò sulla pietra il piccolino e contemporaneamente riprese la torcia e la lanciò nel buio. Il goblin, che era sulle sue gambe, era ora inspiegabilmente afflosciato di lato senza dar segni di vita.
La torcia in aria girava disegnando un arco di luce. Per un attimo si scorse la sagoma di Petrus, poi, quando la fiamma cadde nuovamente per terra, tre mostri molto più grossi degli altri già uccisi, guardavano torvi quegli esseri umani.
Gli occhi bianchi senza iride, la bocca stranamente aperta fino a quasi le orecchie, fili di sbava vischiosa cadevano fra le zanne, lo stesso liquido fluiva a penzoloni dalle inesistenti labbra.
-Goblin Magi! State attenti, potrebbero nascondere oscuri poteri!-, le parole pronunciate dal mago suonavano più roche provenendo dal fondo della caverna. Il cavaliere dalla sua posizione lo guardò in modo sospetto, -Spero non intendessi dire che ce la dobbiamo cavare da soli-, poi, alzandosi, con un colpo netto di spada, tagliò la gola al sopravvissuto che era stato poco prima sopra di lui. Un attimo dopo venne assalito da uno dei grossi esseri che si rivelarono, in quel modo, tremendamente agili oltre che feroci. Con le mani nelle fauci Foe cercava disperatamente di non essere divorato. Nessuno poteva aiutarlo: la sacerdotessa e il ninja erano impegnati nel combattimento con gli altri due “animali”, il mago invece era scomparso. Il guerriero rotolò sulla terra fredda e si liberò dalla scomoda situazione scattando sulla spada bastarda cadutagli poco prima.
Samanxia era ridotta male: il vestito era ormai da buttare. Con una mano si stava tamponando una grossa ferita all’altezza dello stomaco. Ansimava e a pochi metri il suo nemico era pronto a sferrare un secondo e mortale attacco. Con un colpo secco ai polmoni, il cuore della giovane sembrò scoppiare, e perse conoscenza. Petrus se ne accorse e lanciò un urlo soffocato -No! Non lei...-. con la sua katana attraversò il cervello del terzo mostro dalle fauci di lupo, poi si precipitò dalla ragazza.
-Scappate, fuori da qui! Chiudete gli occhi!-. Raghen non si vedeva da nessuna parte, ma era lui. Le ultime parole erano tanto chiare che il gruppo di avventurieri, il guerriero con la sua enorme spada e il ninja con nelle braccia il corpo della loro compagna, si misero subito a correre verso l’uscita. Si sentì solo uno sbattere di mani, e poi uno schianto di luce prese di sorpresa e accecò i due goblin Magi rimasti. Gli uomini, tra cui il mago, tutt’a un tratto ricomparso, si misero a correre nella medesima direzione approfittando dell’attimo di smarrimento dei mostri.
Percorsero svariati metri di pareti oscure, dietro di loro non si sentiva altro rumore che l’eco cacofonico dei loro rapidi passi. Ogni tanto dovevano fare attenzione a non inciampare in alcuni cadaveri uccisi in precedenza. Più volte il percorso si allargava e si stringeva, in caverne che si intravedevano soltanto, a causa della poca luce proveniente dal piccolo pugnale che il mago teneva davanti a sé come una torcia, dietro di lui Petrus che portava il peso di Samanxia, non avrebbe retto ancora per molto. Chiudeva la fila Foe con le mani poggiate sulle armi per un’eventuale attacco. La corsa durò poco più di quaranta secondi, ma sembrò un eternità quando videro finalmente il tramonto apparire da un uscio a pochi metri.
La corsa appariva più tranquilla, poi il mago si accorse di qualcosa prima che ci andasse addosso -Fermi! Ci sono delle dannatissime sbarre di ferro!-. il gruppo ci si fermò a venti centimetri.
Il ninja voleva piangere, ma era troppo stanco, più indietro si sentivano i passi selvaggi delle creature che avrebbero decretato la loro morte.
-Un terribile scherzo del destino.-, commentò il guerriero conficcando la sua spada nel terreno.-Click!- si sentì soltanto. Le sbarre caddero. -Svelti dobbiamo uscire!-. Raghen era percorso da un brivido di pura gioia, tutti si rimisero velocemente a fuggire verso l’uscita, dietro gli rincorrevano i ruggiti delle due bestie.


-Anche se siamo usciti dal loro covo, dubito che quei grossi goblin ci lascino in pace, gli abbiamo ammazzato il loro clan, si vorranno vendicare,-. Il fuoco in mezzo al campo proiettava le ombre degli eroi sulle pareti naturali degli abeti e dei pini selvaggi di quella sera. Lo sguardo di Foe, seduto su un coccio di legno non lontano dal suo giaciglio, era fisso sulla sua poca razione di carne essiccata rimasta.
-Samanxia si sta riprendendo?- la domanda era rivolta a Petrus. Da quando avevano finito di sistemare quell’accampamento provvisorio, lui era sempre rimasto accanto alla sacerdotessa e si era preso cura di lei. L’aveva spogliata dei vestiti sporchi di terra e del sangue uscito dalle gravi ferite che aveva riportato su più parti del corpo, le aveva poi messo il vestito di ricambio che lei si portava appresso nello zaino. Era la prima volta che la vedeva nuda, il viso sembrava quello di una ventunenne, ma il seno immaturo faceva presente la sua vera età: quella primavera ne avrebbe compiuti sedici. Otto anni di differenza sono troppi, pensò il ninja, mentre per l’ennesima volta inzuppava un piccolo straccio nell’acqua della sua borraccia e lo posava sulla fronte scottante della ragazza.
-Non si è ancora svegliata. Le ho bendato le ferite e ho utilizzato delle erbe per evitare complicazioni, ma non sembrano servire... mago, non puoi fare niente coi tuoi poteri?-.
-No, purtroppo non conosco neppure un incantesimo che ora possa aiutarci.- Raghen sospirò e riprese a leggere un grosso tomo in lingua antica che teneva appoggiato sulle gambe.
-Già i tuoi dannatissimi incantesimi!- Foe si era alzato di scatto dal suo posto che era esattamente dall’altra parte dello stregone, stringeva forte il pugno. -Tutte le volte che c’è un pericolo ti allontani mettendo le tue chiappe al sicuro! Se ci avessi realmente aiutato Samanxia non sarebbe in fin di vita e noi non saremo braccati da quei mostri!- con un balzò saltò il falò e fu davanti a Raghen. Con una mano lo prese per il collo sollevandolo da terra, il grosso libro cadde pericolosamente vicino al fuoco. Il guerriero alzò l’altra mano per picchiarlo.
-Basta Foe! Lascialo stare, lui non ha colpa e adesso calmati. Siamo tutti preoccupati per Samanxia, litigando non risolveremo la situazione e inoltre... no, niente... ora torna al tuo posto.- Foe mollò la presa su Raghen facendolo cadere come un pesante sacco. Il mago si sbrigò a riprendere il tomo e a sedersi a gambe incrociate, mentre il cavaliere tornava al suo coccio di legno a ravvivare il falò.
Raghen sembrava ora pensieroso e rattristato e più volte alzò gli occhi verso il fuoco cercando quasi qualcosa da dire.
-Credo sia inutile continuare a stare svegli, è meglio che si comincino i turni di guardia per la notte, mi offro io per primo, se siete d’accordo.- questa era l’unica cosa che potesse fare.
-Il secondo lo faccio io. Potremmo farlo di tre ore ognuno, ok?- La voce del ninja era giovanile nonostante il tessuto scuro che lo copriva per intero, solo gli occhi, le orecchie e le mani erano visibili.
-Per me va bene- ruggì Foe, ancora innervosito per l’accaduto di poco fa.
La sua vita l’aveva passata nei boschi, non aveva esperienza di magia e stregoni, ma per quel poco che sapeva chi l’adoperava era gente senza carattere e personalità, cercava di nascondersi dietro pile di libri. Lui credeva solo nelle cose pratiche, come la forza e l’agilità, cose che un uomo come lui e suo padre avevano. L’intelligenza era importante, ma non se si trascura il proprio corpo; era abbastanza sveglio di mente per accorgersi se stavano cercando di prenderlo in giro e questo bastava. La magia in fondo non era altro che un chiedere aiuto ad una forza di un altro “piano di esistenza” (non sapeva bene cosa significasse, ma era quello che gli aveva detto Raghen tentando di spiegargli il concetto di “evocazione di incantesimi”): era da codardi!
Foe e Petrus si misero a dormire quasi subito mentre il mago si sistemava poco lontano dal fuoco, sfogliando ancora quel grosso libro. Ogni tanto ripeteva a bassa voce qualcosa in una lingua arcana tra sé e sé. Trascorse un’ora a pensare alle parole del guerriero. Foe probabilmente aveva ragione, era un fallimento di personalità. Non aveva mai preso proprie decisioni, anche quella di diventare quel che era non fu una sua scelta. Niente di quello che fino adesso aveva fatto era stato affrontato con coraggio, ma più con un enorme disinteresse. La vita attorno a lui era solo materia, numeri di atomi uguali o diversi, aggregati da legami che potevano essere spezzati e cambiati grazie alla magia. Gli stupidi la odiavano, la magia, perché le loro piccole menti non potevano concepire l’enorme forza e gioia che si ha nel comandare gli elementi. Era come essere delle semi divinità, potevi creare, plasmare e distruggere, lo si poteva fare in vario modo: invocando poteri di esseri superiori, utilizzando illusioni delle proprie menti, memorizzando nel cervello energie prodotte da complicate formule e movimenti, o più semplicemente utilizzando oggetti che avevano già in sé le arcane conoscenze necessarie. No, Foe non poteva capire, qualsiasi bravo mago avrebbe fatto le stesse azioni che lui aveva eseguito, Raghen non era un codardo, era solo prudente e coscienzioso. Cosa avrebbe dovuto fare? Buttarsi sopra uno di quei mostri e aspettare che lo buttassero giù per poi mangiarselo? Che cosa diavolo avrebbe... Raghen sentì qualcosa muoversi nel bosco alle sue spalle.
Si guardò attorno, ispezionò con gli occhi ogni solco buio tra un tronco d’albero e l’altro. Il fuoco del campo si era indebolito molto e il mago cominciò a pensare che in quelle condizioni avrebbe scambiato qualsiasi pezzo di legno per una creatura minacciosa. Rivitalizzò le gambe camminando un po’, ravvivò anche il fuoco.
Sentì ancora quel rumore di piccoli rami spezzati (o forse era solo lo scoppiettio delle fiamme?). Si avvicinò al suo zaino e ne tirò fuori un lungo bastone che spuntava con una grossa palla di ferro, posizionata come il pomo di uno scettro. Marcato sul legno c’erano miriadi di segni mistici. Raghen aveva lavorato mesi per ottenere quello strumento, lo aveva reso magico con riti che imparò solo teoricamente alla scuola della Gilda di Aishi. Aveva anche utilizzato il doppio del tempo per generare un’opzione che al ritrovo dei Piccoli Edificanti avevano ritenuto intelligente, l’invenzione gli era anche fruttata abbastanza soldi. Dall’ultimo incontro erano passati circa sei mesi, aveva ancora un anno di tempo per trovare un nuovo incantesimo che gli permettesse di salire di classe. Le riunioni avvenivano per determinati livelli di esperienza ed erano presiedute da dieci stregoni di una classe maggiore. Essi decretavano se l’allievo poteva procedere con studi più elevati e quindi creare incantesimi di livello superiore. Gli avrebbero potuto far guadagnare soldi, se avesse trovato qualcuno interessato alla compravendita delle sue ricerche. La dimostrazione delle proprie capacità, con il giudizio dei dieci stregoni, veniva fatta in una stanza speciale in cui era attivo un forte incantesimo che agiva in modo tale che chi usciva non ricordava, ad eccezione dei giudici, quello che era accaduto all’interno della sala. In questo modo si evitava che qualcuno si appropriasse delle magie degli altri, poiché tutti potevano presenziare agli esami.
L’opzione agli oggetti l’aveva mostrata quasi tre anni fa e aveva interessato molta gente anche di classe superiore.
Quella notte in quel bosco aveva paura che avrebbe utilizzato, con l’inevitabile sacrificio, il secondo potere donato al bastone. Raghen aspettò che succedesse qualcosa nel silenzio dei grilli che avevano smesso di cantare. Nulla... poteva sentire il suo cuore battere... si guardò ancora attorno, rimanendo immobile dov’era... tu-tum... tu-tum... stava per mettersi a ridere per la sua stupidità. I rumori, la tensione, erano solo frutto della stanchezza della giornata, tra mezz’ora avrebbe potuto riposare e riprendere le forze per il giorno dopo. Intanto avrebbe ripreso a studiare sul suo grimorio, avrebbe tenuto comunque accanto il suo bastone per ogni evenienza.
Stava per sedersi su un pezzo di legno, quello utilizzato precedentemente da Foe, quando le due creature apparvero, una accostata all’altra, sullo sfondo verde dei cespugli. -Per i Grandi Déi!- il mago si alzò di colpo, il guerriero che era lì vicino appisolato mugolò. Lo stregone impugnò la sua arma come una lancia e la gettò a poca distanza dalle creature conficcandola nel terreno -Esplodi!-.
Il lungo legno sembrò reagire a quel comando: alcune rune si illuminarono come lucciole poi ci fu una grossa esplosione. Una sfera infuocata investì le due vittime. A quel punto Foe e Petrus si svegliarono di soprassalto.
-Sono i vendicatori... carbonizzati- avvertì divertito Raghen.
-I corpi carbonizzati sono solo uno, i nostri vendicatori erano due.- osservò il ninja impugnando la katana e avvicinandosi al giaciglio di Samanxia per proteggerla. Il guerriero si mosse rapidamente per prendere la sua grossa spada, scostando con energia il suo mantello che aveva utilizzato come coperta.
-Mago non sai più contare? Comunque mi devo ricredere sul tuo aiuto nel gruppo- così dicendo si mise un dito davanti alla bocca: ora era importante non farsi prendere di sorpresa.
Il mostro correva nel buio nella boscaglia, aggirando il campo. Con la sua vista poteva vedere chiaramente qualsiasi creatura nella notte, compresi i tre uomini. Per un momento il grosso goblin pensò, se per pensiero intendiamo anche le tattiche di guerra, che avrebbe ucciso il mago. L’avrebbe preso alle spalle staccandogli con le mandibole la testa con uno strappo, poi si sarebbe scansato a sinistra per fuggire di nuovo, per attaccare un’altra volta.
Quello era il momento, scivolò lateralmente sul terreno increspandolo. Voltò il grugno verso il bersaglio. Con uno scatto uscì dalla boscaglia, l’ambiente intorno divenne indistinguibile e scivolò via come troppo colore fresco su una tela, l’unico punto fermo era la sua preda. D’istinto balzo a destra, mimetizzandosi nuovamente nella natura.
Il guerriero si girò solo in tempo per vedere un’ombra scomparire nel bosco e una freccia blu impiantata trasversalmente nel terreno. Corrugò la fronte -Ma che...?- guardò con aria interrogativa il ninja che per risposta si alzò e si avvicinò ad analizzare la freccia. Il mago non si era ancora accorto di nulla -Che cosa è successo?-.
-È quello che ci stiamo chiedendo anche noi Raghen. Forse voleva ucciderti, ma qualcuno è intervenuto spaventandolo,- Foe indicò la freccia -Dalla inclinatura e dalla forza di penetrazione è facile dire che il nostro “benefattore” deve aver mirato dall’alto.-
Petrus sconficcò la freccia. Era lunga circa cinque mani, un pollice di spessore, la punta era di uno strano minerale nero che il combattente evitò di toccare, quattro piume gialle la completavano alla fine.
-Questo genere di frecce non viene prodotto in queste zone...-
-Sai forse dove?- s’incuriosì il mago.
Petrus guardò lo stregone con un movimento della testa dubbioso, il tessuto blu notte della sua tuta aderente fece un lieve fruscio per lo spostamento -No... non ricordo, ma sono sicuro di quello che ho detto. Bhè - fece alzandosi - è inutile che rimaniate ancora svegli. Raghen ti do il cambio. Buonanotte.-
-Se credi ci siano altre creature svegliaci subito, non vorrei essere ucciso nel sonno. Notte.- Foe si ammantò nuovamente nella sua coperta provvisoria, come un bambino strinse e coccolò la sua spada bastarda e prese sonno. Dietro a lui il mago spostava il proprio giaciglio vicino al suo. In un lento crescere di rumori la vita notturna del bosco cominciò a ripopolarsi. Affianco a Samanxia, si appostò l’ombra di Petrus, un angelo nero, vendicatore contro chiunque avesse attaccato quella bambina.
Era visibilmente preoccupato per lei, pregava che non fosse già troppo tardi, da quando erano usciti dalle caverne avevano percorso un tragitto casuale perdendo l’orientamento. Riuscirono a correre solo per altri dieci minuti poi decisero di trovare un posto comodo per accamparsi. Sperava che vicino ci fosse un qualche villaggio, oppure una strada principale che portasse da qualsiasi parte ci fosse un medico o un guaritore. Non sapeva più che fare, che pensare. Era confuso, non sapeva che provava per quella ragazzina che ora guardava con occhi preoccupati.
Con la mano accarezzò i corti capelli neri, sfiorandole la piccola fronte e spostando un fine ricciolo bianco che si era separato dalla propria ed unica ciocca. Le palpebre erano chiuse, le ombre provocate dalla luce in mezzo al campo rimarcavano tutte le linee del volto, le piccole labbra sporgenti rosee, il naso quasi a punta lievemente alzata.
Il ninja si tolse la maschera che ricadde piegata dietro di lui per terra, capelli biondi tagliati alle spalle scivolarono in avanti nascondendogli la faccia. Si chinò su di lei, si stava lentamente avvicinando con movimento insicuro alla bocca di Samanxia. Un rumore fece sobbalzare Petrus che velocemente rindossò la maschera, gradualmente si rimise a fare la guardia volgendosi verso il bosco rattristato per quel momento. “Che aveva pensato di fare?” si chiese fugacemente. L’attenzione tornò sulla notte con i suoi abitanti invisibili. Lì attorno si nascondeva il loro “benefattore” o forse se n’era già andato a salvare la vita a qualcun altro.
Foe fece l’ultimo turno ma dopo dei minuti si addormentò e si svegliò poco prima che i due compagni potessero riprenderlo con qualche rimprovero. Sembrava fosse una delle tante mattine passate insieme da quando si erano conosciuti in quella strana situazione che fu la festa del villaggio di un anno e mezzo fa.
Raccolsero parecchi rami, li legarono fra loro mediante una corda che portavano con sé e usarono il mantello rosso affinché Samanxia potesse sdraiarsi sulla rudimentale barella. Non fecero colazione perché non avevano niente da mangiare, ma questo non impedì loro di essere allegri, spensierati, e fare battute sulla vita e sui nobili. In breve tempo si sorpresero a costeggiare una strada principale, la scoperta scatenò una risata di scherno sulla propria stupidità. La strada che percorsero, non più larga di quattro metri, era fatta da piccoli ciottoli bianchi sprofondati a formare una specie di carreggiata che suggeriva un frequente viavai; infatti dopo un centinaio di metri una carovana si presentò in prossimità di un esteso campo di frumento, offrendosi di dare un passaggio fino alla città in cui era diretta.
Quelle dovevano essere giornate davvero fortunate: all’inizio le sbarre nella caverna, poi il “benefattore”, trovare quella strada e infine il carro. Raghen non sprecò che pochi pensieri su quei fatti, sedendosi davanti con il mercante e cocchiere della carovana, gli altri due erano dietro con Samanxia, sotto quella vuota nuvola che poteva sembrare la tela, tenuta dai stretti e flessibili bastoncini di legno.
-Qual è la città dove ci fermiamo?- “e quanto tempo manca alla fine di questo noiosissimo viaggio?” fu la domanda inespressa di Raghen che giocherellava con la bambina di Nahf. Seduta sulle sue gambe aveva sei anni e corti capelli rossi ramati, con le mani giocava a tirare la barba caprina del mago che, non molto divertito, tentava di scansare i colpetti dell’infante. Più volte aveva cercato di spostare la ragazzina ma dopo un po’ se la ritrovava sopra di lui.
-Felicia smettila di disturbare il nostro ospite... la città è Wamashtar, conosciuta un tempo come la dimora di Gudrun. Sa già la storia?-
-Sì la conosco, ma la pregherei di raccontarmela un’altra volta.- la bambina sembrava tutt’a un tratto calmatasi, si accomodò meglio su Raghen, stiracchiò la sua lunga gonna rosa con le mani, in silenzio, e come una brava scolaretta si mise ad ascoltare.
-Alla mia bambina piacciono le storie, non è vero?- Felicia sorrise, era un bellissimo sorriso, tanto che Raghen la imitò, il risultato fu uno sguardo idiota.
-È una storia di duecento anni fa, dove ora splende Wamashtar esisteva allora un bosco che si diceva fosse il regno dei misteriosi abitanti che ogni notte ballavano e cantavano per il loro tesoro. Un giorno però le forze del male, che a quel tempo governavano la grande energia del Flusso Amniotico degli Immortali, tiranneggiarono il misterioso popolo.
Essi non si ribellarono ma gridarono aiuto a Urihid, la dea della luccicanza. La sua risposta fu la venuta di Gudrun, nato dall’unione di un elfo, figlio della dea, e da Salice, colei che esercitava la maieutica presso gli Immortali. Egli combatté contro gli oppressori del popolo misterioso. Fulmini, tuoni e luci vennero evocati, il tutto finì con la vittoria di Gudrun e la ritirata del male.
Il bosco però non era più abitabile per gli esseri di quel luogo, così essi dovettero migrare in una nuova zona in cui potessero nuovamente divertirsi ballando. Prima di andarsene i piccoli esseri ringraziarono il loro salvatore donandogli la città più ricca e artistica che tutta Nuova Nascita avrebbe visto nella sua esistenza, e l’avrebbero costruita in quello stesso luogo distrutto per esorcizzarne le influenze negative. Il giorno dopo quella città era lì: tetti splendenti di rosso rubino, verde giada, giallo ametista; tantissime case, torri, templi, monasteri, ogni costruzione con preziose pareti di marmo dai svariati colori, nero, rosa bianco e grigio. E il nome del suo Re era Gudrun.
Felicia ricordati di questa storia quando entreremo a Wamashtar e narrala a tutti quelli che incontrerai, perché anch’essi sappiano dei prodigi delle forze del bene.- strizzò l’occhio alla bambina e riprendendo presa sulle briglia, incitò i cavalli a proseguire con trotto più rapido.
Era la prima volta che Raghen sentiva quella storia raccontata in quel modo. Aveva studiato e conosceva la verità di quella città, di come Gudrun era riuscito a costruire quegli edifici, il perché moltissima gente nota vivesse in quel posto nonostante le salatissime tasse. La realtà si scostava molto da quella fiaba.
D’altronde non era il caso di distruggere le illusioni di una ragazzina. Non le si poteva certo dire che quel re era un mascalzone. L’unica città che non rimaneva succube della povertà e della decadenza era dove Gudrun alloggiava con il suo sfarzoso palazzo, nella capitale. Essa continua a vivere, anche dopo la morte del suo primo re, delle salate tasse che venivano imposte agli abitanti che rimanevano in quel paese solo perché tutelati dalle leggi degli altri regnanti con cui avevano delle accese diatribe. Quella città era diventata la prigione più lussuosa e vivibile dell’intero mondo di Nuova Nascita.
-Guarda Felicia, su quel promontorio! Vedi quegli strani luccichii che spuntano dal bosco in fondo?,-
Dentro alla carovana Foe si scostò da una cassa di stoffe e rimanendo appena ingobbito mosse qualche passo per poter vedere fuori la scena.
-Quella è la città più bella, Wamashtar. È il tramonto, la miglior opportunità per ammirarla, ancora poca strada e saremo arrivati.-
-Raghen spostati che voglio mirare il paesaggio. Lui continua a mugolare e non riesco a riposare,- Raghen si ritrovò ai bordi dell’asse di legno che fungeva da sedile, schiacciato fra il vuoto e il corpo dell’aggiunto uomo. Una piccola chioma rossa abbracciò il collo robusto di Foe -Ciao Felicia- rispose lui scompigliandole i capelli. La ragazzina sorrise a bocca aperta e gli strizzò l’occhio. Intanto il mago, aggrappatosi alla vita del guerriero, cercava di non cadere, al che si vide alzare per il colletto della sua tunica rossa e sbattuto all’interno del carro -Grazie...-
All’interno Petrus piangeva sopra il corpo pallido di Samanxia, parlava a voce rotta e interrotto da numerosi singhiozzi -Non riuscirà a sopravvivere... non arriveremo mai in tempo... Proprio ora che la amo...- con il volto rigato dalle lacrime si voltò -Raghen, ti prego... portala via a Wamashtar... salvala,- Il ragazzo si tolse con fatica la maschera e scoprì i suoi capelli biondi spettinati, si appoggiò con la testa sulle gambe dell’amico -Io non ce la faccio più, è come un cancro che mi divora l’anima... Non posso stare qui e... io la amo!-
Solo luci deboli e smorte filtravano dal telaio, l’ambiente era carico dello scuro marrone delle molte stoffe sovrapposte. Il vento fuori suonò una tacita melodia mentre Petrus premeva con entrambe le mani il suo volto quasi tentando di strapparsi la carne dalla faccia.
Forse cercava di sostituire il dolore che provava nel cuore con uno più violento, fisico.
-Ti prego... uccidimi se lei non dovesse tornare... da me- le unghie cominciarono a penetrare nella carne, un rivolo di sangue scese e si mescolò ad una lacrima che aumentò la sua discesa sulla guancia dell’uomo.
-Smettila Petrus!- Raghen, con le sue forze insufficienti, tentò di fermare le braccia dell’amico i cui nervi sembravano sul punto di esplodere -Stai impazzendo, così lei non tornerà in vita!-
Petrus urlava, al limite del dolore sbranante il suo animo.
Il mago mollò la presa e istantaneamente portò i pugni al petto -Forza magica, dirompi nel lento torrente di Hypnos- e con l’ultima parola aprì le mani e una nuvola di polvere rossa coprì il ragazzo biondo che cadde addormentato sul legno del pavimento. Le dita non facevano più pressione, i muscoli si erano tutti rilassati, solo la faccia aveva trattenuto l’espressione di una terribile tristezza.
All’esterno Foe sgranava gli occhi guardando sopra la sua testa, Felicia era nascosta dietro il suo mantello, Nahf aveva fermato i cavalli. Il cielo sembrava una grossa creatura vivente che si spingeva in un movimento altalenante, un mare in tempesta con creste protese per decine di metri verso terra. I due Soli erano scomparsi, coperti da una luce rossastra che ammantava l’intera volta celeste.
-Raghen, Petrus, uscite fuori presto!- il cavaliere smontò dal veicolo con un balzo e la bambina lo seguì.
-Che cosa sta succedendo è... strano- furono le parole dello stregone. Raghen scese con calma e restò a guardare quello spettacolo vicino Foe. Il mercante era rimasto impietrito, gli animali erano impauriti e cominciavano ad agitarsi.
-Petrus, ha avuto una crisi, l’ho dovuto far addormentare, ma che cos’è?- quella cosa cominciava a formare dei grossi vortici piatti bluastri là sopra.
-Cosa?! Petrus... per via di Samanxia, non è così? Ascolta...- il ragazzo non finì la frase che un forte rombo squarciò quell’attimo, una colonna di luce divampò nel cielo e si frantumò a diversi chilometri da loro. Come una rapida reazione a catena altri fasci caddero seguendo una linea retta dal punto in cui il primo si era consumato.
-Scappiamo!-, i cavalli erano impazziti, Nahf piombò sulla strada e venne calpestato dagli zoccoli ferrati delle bestie, che prima gli pestarono le gambe e poi, nell’agonia straziante del dolore dell’uomo, gli schiacciarono la testa ponendo fine alla breve tortura del loro padrone.
Gli enormi raggi crollavano sempre a minor distanza dagli avventurieri che, in preda al panico, correvano a più non posso con appresso la bimba. Il pilastro luminoso raggiunse e colpì in pieno la carrozza che svanì frantumata; uno scoppio bianco e un’esplosione fece volare per cinque metri i fuggitivi. Dietro loro non rimaneva altro che un’enorme spiazzo morto, quelle folgori erano svanite ma il colore rossastro permaneva accompagnato da uno sgradevole puzzo di carne arrostita.
Due figure rimanevano al centro di quel luogo calvo; sdraiata e nuda c’era Samanxia e a pochi metri Petrus galleggiava nell’aria con un lieve bagliore grigiastro intorno al corpo, dopo un primo momento una forza invisibile lo sbatté al suolo. Il ninja si rianimò,
-Samanxia... che sta succedendo...- con una mano si teneva la testa dolorante, alzò di poco lo sguardo e, vedendo la sacerdotessa, si protrasse in avanti: la sua mano sembrò toccare una parete d’aria che non si lasciava oltrepassare.
Il corpo della ragazza cominciò ad essere preda da violente convulsioni, gli occhi sbarrati mancavano dell’iride, la bocca aperta era un muto grido. La schiena della donna si inarcò, le dita della mano affondavano nella terra mentre raffiche di fili bluastri la percorrevano, raccogliendosi poi a generare una voluttuosa sfera all’altezza del suo addome sollevato. L’urlo non manifestato prima scaturì in un istante nel suo straziante suono.
-Samanxia che ti sta succedendo!- Petrus urlava per la disperazione, impotente poteva solo guardare. Samanxia prese a galleggiare rannicchiata intorno alla sfera azzurrastra. Un rumore di ossa spezzate precedette l’apertura di due enormi ali argentee, uscite dagli squarci obliqui sanguinolenti al livello delle scapole della fanciulla. A quel punto si eresse in tutta la sua figura che sembrava avesse acquistato in possenza, gli occhi senz’anima di Samanxia crollarono verso Petrus.
La bocca si mosse in piccoli scatti. La voce era irriconoscibile, profonda e roca, sembrava provenisse da un’altra dimensione.
-Tu, mortale, pagherai il tuo volere con il nostro volere.- con il dito puntò verso l’inerme ragazzo -Ora in questo momento il destino s’incammina per la seconda Placenta in Stasi. Esseri animali che vi avvalete del nome di Uomini, non rimarrete più nel maglio embrionale degli Immortali! Cadrete finalmente nel grande Caos,- la faccia di quella creatura, che non era più Samanxia, si rivolse al cielo. L’atmosfera rossastra venne ricoperta da un manto nero, quello della notte, e tutto sembrò tornare alla normale natura del luogo.
In quello spiazzo levitava ancora la figura alata della fanciulla, -Arzhakim! Immortale, i demoni porranno fine a tutto questo!- . L’oscurità sembrò inghiottire il suo corpo nudo, poi rimase solo Petrus, un anello ai suoi piedi e le voci concitate dei suoi amici.