Stato e Famiglia

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Adriano II
00giovedì 6 ottobre 2005 18:27

Donati: il nostro welfare penalizza chi ha più bambini

«Avere figli in Italia, come confermano i dati dell'istituto
Tagliacarne, è penalizzante. E lo è in modo sistematico, nel senso
che non si tratta di un 'caso' o di episodi particolari, ma della
struttura generale dei rapporti fra Stato e famiglia. Abbiamo una
situazione paradossale, in cui è la famiglia che sussidia lo Stato
anziché viceversa.
Il modello di welfare che abbiamo ereditato dai tre decenni passati,
a poco a poco ha cambiato i trattamenti fiscali e assistenziali
verso la famiglia, che in precedenza erano realmente sussidiari. E
alla fine, ancora oggi chi è sposato viene penalizzato rispetto a
chi non è sposato, e chi ha figli è penalizzato rispetto a chi non
ha figli oppure ne ha di meno».

Parla il professor Pierpaolo Donati, direttore dell'Osservatorio
nazionale sulla famiglia, citando il rapporto che sarà presentato
nel congresso europeo in programma a Bologna da oggi a sabato
(vedere articolo in questa pagina).


Nelle politiche familiari c'è qualcosa di nuovo nel rapporto tra
pubblico e privato?

Il fatto che, dopo anni di contrapposizione, hanno cominciato a
dialogare e a collaborare. Tuttavia qualcuno non ha ancora compreso
che si tratta di andare avanti sulla strada delle sinergie fra
pubblico e privato anziché ritornare a privilegiare uno dei due poli
sull'altro.
Dobbiamo adottare in modo più maturo il principio di sussidiarietà.


In questa «primavera» non tutti i problemi sono stati dunque risolti.

Il primo equivoco nasce dall'idea che solo il pubblico garantisca
l'universalismo delle prestazioni e dei servizi. Il secondo dalla
convinzione che il privato non assicuri quella qualità dei servizi
che oggi riteniamo necessaria.
Si tratta, in entrambi i casi, di pregiudizi.
Dobbiamo arrivare invece ad un concetto di servizio di utilità
pubblica che non coincide con la natura (proprietà) pubblica
dell'ente che lo eroga o lo controlla, ma che può anche essere fatto
dai privati senza troppi vincoli ma con garanzie di qualità.


Gli enti locali sono preparati a governare secondo l'ottica che lei
ha indicato?

Complessivamente non lo sono ancora né culturalmente né
operativamente.
Bisogna ammettere però che gli enti locali si stanno attrezzando a
valorizzare le realtà in cui le famiglie sono dei soggetti.
Crescono le delibere che valorizzano comitati dei genitori,
associazioni di famiglie che organizzano servizi per i bambini che
prendono il posto di quelli prima delegati ai servizi del Comune.
Qualcosa quindi si sta muovendo: le famiglie stanno diventando
interlocutori delle amministrazioni locali.


Si parla molto delle «buone pratiche». Che cosa sono?

Una scelta innovativa che consente di realizzare servizi gestiti
dalle famiglie per le famiglie con l'aiuto di tutta la comunità.
Ad esempio i micronidi; i piani territoriali degli orari (che
favoriscono i genitori nell'accompagnare i figli a scuola, nel
lavoro, nel fare shopping, nell'utilizzare i servizi); i nidi
aziendali.
Si tratta in sostanza di azioni di benessere per la famiglia, che
vedono coinvolti una pluralità di soggetti pubblici e privati che
creano forme associative o vere e proprie agenzie in cui ciascuno
mette il suo: le famiglie fanno ciò che devono fare, l'impresa
economica aiuta (con orari flessibili, con progetti di conciliazione
tra famiglia e lavoro), il Comune mette a disposizione risorse.


Un'eventuale approvazione dei Pacs penalizzerebbe la famiglia
italiana?

A parte le considerazioni di ordine etico, l'impatto sarebbe
pesantissimo perché le politiche sociali hanno bisogno di un
referente sicuro.
Se stiamo all'esperienza francese, ai pochi dati di ricerca che
esistono, vediamo che il Pacs in realtà non è servito molto a
rafforzare la solidarietà sociale.
Ha regolarizzato determinate situazioni agli occhi dell'opinione
pubblica, e conferito maggiori diritti agli individui, ma non si può
certo dire che abbia alimentato un tessuto di solidarietà.
La famiglia come rete di relazioni e di coesione sociale non ha
reali alternative.

Stefano Andrini
(C) Avvenire, 6 ottobre 2005
Drauen Ghor
00giovedì 6 ottobre 2005 18:45
Un'eventuale approvazione dei Pacs penalizzerebbe la famiglia
italiana?
A parte le considerazioni di ordine etico, l'impatto sarebbe
pesantissimo perché le politiche sociali hanno bisogno di un
referente sicuro.

Ma infatti i Pacs non vogliono creare un altro referente per le politiche sociali. Vogliono solo creare dei diritti (per la maggior parte di natura patrimoniale e legale) per chi non vuole sposarsi o non può.
L'unica cosa che non accetto nei pacs è che sono anche per le coppie di fatto (che differenza ci sarebbe allora con la famiglia normale?). Li attendo per vedere gli gay e lesbiche con diritti certi.

Il fatto di favorire le politiche sociali, credo sia volontà di chiunque, ma il problema viene fuori sempre quando c'è da tirare fuori i soldi, purtroppo.
Gianlu79
00giovedì 6 ottobre 2005 23:06
Già, aggiungici il caro euro, che ti impedisce pure di far la spesa.........aho, ma ultimamente avete fatto benzina?
Stò cominciando a prendere in considerazione l'ipotesi di comprarmi cavallo e calesse..........
Hugrun
00domenica 9 ottobre 2005 13:55
Gianlu79, altrimenti puoi costruirti un aquilone che voli sopra il traffico [SM=x92702] : usa pure l'energia pulita!
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