Moschee: l' invasione silenziosa

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Adriano II
00venerdì 29 dicembre 2006 09:21
Voglio sottoporre alla vs. attenzione questo articolo
non per formentare xenofobia, ma affinchè sappiamo
e siamo coscienti di quanto sta accadendo in Italia e in
Europa.
Se la diffusione di centri islamici avviene numerosa e senza
controllo, le conclusioni per noi cristiani (ma anche per tutti gli italiani) mi sembrano ovvie.

Scusate se è lungo, ma si legge "facilmente" in quanto interessante (molte cose qui descritte, ai più sono celate)

Adriano II - balestriere
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(liberamente tratto dall' web)

Moschee, l'invasione silenziosa:
in Italia sono già più di 600

Domanda semplice: quante sono le moschee in Italia?
Mistero.

Lo ignora l'Ucoii, l'Unione delle comunità islamiche nata
dall'organizzazione radicale dei Fratelli musulmani e
protagonista delle roventi polemiche estive contro Israele,
che è il gruppo cui è legato il numero maggiore di locali di
preghiera nel nostro Paese.
Non lo sa la Lega musulmana, dalla quale dipendono il Centro
culturale islamico d'Italia e la moschea di Roma.
Non filtrano dati precisi nemmeno dal ministero
dell'Interno, cui pure fa capo la Consulta islamica.
La stessa Consulta nega che sia affar suo.
In sostanza, non se ne occupa nessuno.
Niente censimenti che diano un'idea della dimensione
complessiva di un fenomeno in crescita tanto silenziosa
quanto costante.

Altra domanda: si tace perché si ignora, oppure perché si
vuole mantenere il segreto?

Anche questo interrogativo è destinato a restare insoluto.
Circolano soltanto voci difficili da verificare.
A Colle Val d'Elsa, nell'incandescente terra di Siena dove è
in costruzione una nuova, grande e contestatissima moschea,
l'imam Ferras Jabareen (senza però specificare la fonte)
parla di 612 associazioni islamiche con luogo di preghiera
annesso.
Cifra ridimensionata da Hamza Piccardo, portavoce
dell'Ucoii, che ammette di conoscere 250 indirizzi, di cui
160 direttamente legati alla sua associazione: ma l'elenco
dettagliato dei centri islamici (città, recapito e telefono)
è stato cancellato dal sito Internet dell'Unione.

Nel 2002, quando le cose erano un po' più trasparenti,
l'Ucoii dichiarava ufficialmente 133 luoghi di culto, più
altri 120 segnalati ma non verificati, più un altro
centinaio di centri sorti qua e là disordinatamente, senza
pianificazione.
In totale, circa 350.
Appena un anno prima Magdi Allam, nel libro «Islam, Italia»,
ne contava 214 distinti in quattro tipi: le tre moschee vere
e proprie (a Roma, Catania, Segrate, con tempio e minareto);
una trentina di centri culturali islamici; un'ottantina di
centri islamici e un centinaio di semplici luoghi di culto.
Siamo alle soglie del 2007.
Se si considera l'aumento dei musulmani in Italia e il
consolidarsi delle comunità, l'ipotesi di 600 moschee non
solo verrebbe confermata ma potrebbe rivelarsi addirittura
riduttiva.
A queste vanno aggiunte le sale di preghiera delle varie
confraternite musulmane come per esempio quella della
muridiya, che trova adepti soprattutto tra i senegalesi e ha
la capitale a Pontevico (Brescia), dove una vecchia fabbrica
di biciclette è stata trasformata nel più grande luogo di
culto murid d'Europa.

Sul web si trovano elenchi dai quali si possono ricostruire
quasi 400 riferimenti, dai circoli regolarmente costituiti
fino a semplici indirizzi di posta elettronica di aspiranti
imam.
La maggiore concentrazione (oltre la metà) è al nord: 55 in
Piemonte, 65 in Lombardia, 35 in Veneto, una decina in
Friuli, oltre 20 in Liguria, una cinquantina scarsa in
Emilia Romagna e una dozzina in Trentino Alto Adige.
Perché al nord? «In realtà la terza comunità islamica
italiana è a Napoli - dice Piccardo - ma le moschee nascono
dove c'è stabilità. E la stabilità presuppone il lavoro,
mentre il sud è la patria del precariato e del lavoro nero».
Comunque, stando a Internet, in Campania le associazioni
islamiche sono quasi una trentina.

Una riproduzione rapida

Dunque, la moltiplicazione delle moschee significa che
l'islam, seconda religione più diffusa in Italia, si
consolida di anno in anno.
Secondo uno studio del ministero dell'Interno basato sui
dati del dossier annuale Caritas-Migrantes, è praticata da
oltre 1.200.000 persone, circa il 2,5 per cento della
popolazione.
Numero destinato a crescere rapidamente, visto che un
bambino su 10 è straniero (addirittura 1 su 5 nelle regioni
del Nord).

Ma non c'è soltanto il fattore demografico: è anche
aumentato il numero dei musulmani praticanti.
Nel 2001 Allam sosteneva che non più del 5 per cento degli
maomettani seguisse rigorosamente i precetti del Corano.
Ora gli studiosi sostengono che la quota ha superato il 20
per cento. E basterebbe girare per i quartieri a forte
presenza straniera per constatare quanto siano aumentati i
veli.
Dopo l'11 settembre 2001 i gruppi più radicali si sono
rinsaldati, i fedeli più lontani sono stati «re-islamizzati»
e costretti ad allontanarsi dagli influssi occidentali. Così
la sempre più estesa rete di moschee, oltre a consentire le
pratiche rituali di una galassia polverizzata di fedeli,
serve anche a riprendere il controllo dei musulmani tiepidi,
moderati o laicizzati e ad accrescere il peso delle
organizzazioni come l'Ucoii.

Gli statuti in fac-simile

Formalmente, in mancanza di una forma di concordato, non si
potrebbe parlare di moschee se non per l'edificio di Roma.
Per aprire un luogo di preghiera si costituisce un centro o
associazione islamica (bastano tre persone: presidente,
segretario e tesoriere), registrarla in Comune o in
Provincia sborsando poche decine di euro e affittare un
locale.
Di solito gli statuti sono basati sui modelli distribuiti
dall'Ucoii.

I musulmani pregano in garage, palestre, scantinati,
magazzini, capannoni industriali abbandonati, stanzette
concesse sui luoghi di lavoro.
Nulla di paragonabile con lo splendore dei grandi templi
moreschi della Spagna meridionale o di Istanbul; del resto
le moschee non sono templi consacrati come le chiese
cristiane e gli arredi sono ridotti al minimo: un locale per
le abluzioni rituali, scaffali per le scarpe, tappeti
sgargianti, un leggio che sostituisce il pulpito dell'imam,
una nicchia orientata verso la Mecca.
La sacralità è garantita dal semplice fatto che qualcuno si
prostri in direzione della pietra nera e reciti le preghiere
rituali.

Imam, carriere veloci

Gli imam, cioè i «dottori» coranici, vengono scelti dalle
varie comunità.
Nei Paesi dove l'islam è religione di stato le cose non
funzionano così: è il ministero degli Affari di culto che
nomina i predicatori, accerta che conoscano il Corano e la
legge del Profeta, sorveglia che cosa dicono e cosa fanno.
Controlli ferrei: mentre da noi le moschee raddoppiano, in
Marocco l'anno scorso ne sono state chiuse 145.
Soltanto l'imam della grande moschea di Roma viene designato
da una delle massime autorità islamiche mondiali.
Lo scorso giugno, alla morte di Mahmoud Shweita, il Grande
imam egiziano dell'università di al-Azhar, Mohammed Sayyed
Tantawi, ha spedito a Roma il quarantanovenne cairota Ala
Eddin Mohammed Ismail el Ghobashy.
Il quale ha dovuto aspettare tre mesi per prendere possesso
della moschea in attesa del visto e di sistemare le
questioni familiari.

Per il resto, da noi si diventa imam per autocandidatura
confermata dai pochi praticanti.
Jabareen, per fare un esempio, fisioterapista in una clinica
di Firenze e fautore di una moschea per migliaia di fedeli,
è stato investito da 95 elettori.
Gli imam italiani fanno i lavori più diversi: quello di
Carpi (Modena), un ex giornalista pakistano, è responsabile
di produzione in una azienda tessile; quello di San Giovanni
in Persiceto (Bologna) vive di sussidi comunali; a Torino
Bouriqui Bouchta, espulso il 6 settembre 2005, gestiva tre
macellerie halal.
L'imam di Casalmaggiore (Cremona), operaio in un'azienda
chimica, ammette che non serve nessuna specifica
preparazione teologica: «Nessun conduttore ha avuto una
formazione esterna. Abbiamo imparato il Corano e gli Hadith
diventando adulti nei nostri Paesi di origine. Da 1565 anni
il Corano non cambia. Non possiamo certo essere noi
poveracci quelli che mettono in discussione la legge
islamica».

Accade così che vengano eletti non i più dotti ma i più
loquaci, i più intraprendenti, i più legati alle varie
organizzazioni.
Non ci sono controlli, e se ne lamentano gli stessi moderati
che chiedono allo Stato un'intesa complessiva (cioè che
riguardi anche questioni come le scuole islamiche, la
macellazione rituale, le sepolture).
Nessuna garanzia sull'ortodossia della predicazione, sulla
precedente formazione culturale e religiosa, sulla
conduzione delle attività dei centri. E tra insegnamento
religioso e centrale di indottrinamento il confine è quanto
mai sottile.
(1. Continua)

di Stefano Filippi
(C) Il Giornale, 23-12-2006
Drauen Ghor
00venerdì 29 dicembre 2006 12:59
Non capisco il problema.


Controlli sulla diffusione dei centri islamici non serve a granchè.
Se non a livello statistico ed economico.

Bisognerebbe fare controlli sulla loro dottrina, ma questo porterebbe all'ulteriore diffusione dei centri "nascosti".
HomeRunner
00martedì 2 gennaio 2007 15:05
ci ammazzeranno tutti, è il loro scopo recondito [SM=x92710] [SM=x92706]
Lady Rowena
00martedì 2 gennaio 2007 15:28
Anche le idee di qualcun'altro facevano ridere una volta. E dopo...
credo che una giusta tolleranza e una giusta preoccupazione(una preghiera in più) nn puo fare che bene. [SM=x92705]

[Modificato da Lady Rowena 02/01/2007 15.31]

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